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SLASH Discografia

Saul Hudson nasce a Stoke City (Gran Bretagna) nel 1965. Da giovanissimo emigra negli States dove diventa uno dei chitarristi principali degli anni ’80 e ’90 come solista dei losangelini Guns N’Roses. Il mondo lo conosce con l’appellativo di Slash e lo riconosce immediatamente grazie alla caratteristica acconciatura afro sormontata da un’improbabile tuba nera degna di un beccamorto. Lo status di megastar del chitarrista viene sancito nel 1991 con la partecipazione come ospite all’album di Michael Jackson, Dangerous, con il quale raccoglie idealmente lo scettro di Eddie Van Halen di chitarrista hard rock più noto al mondo.
All’inizio del 1994 i Guns N’Roses, nonostante il grandissimo successo degli ultimi album, di fatto non esistono più, persi dietro l’ego instabile del cantante W. Axl Rose. Slash decide quindi di tentare la carta della carriera solista radunando diversi membri dell’ultima formazione dei Guns (il batterista Matt Sorum, il chitarrista Gilby Clarke ed il tastierista Dizzy Reed) ed aggiungendoci la voce “simil Axl” dell’ex Jellyfish, Eric Dover (ascoltate Dime Store Rock per rendervene conto) ed il basso di Mike Inez (Ozzy Osbourne, Alice In Chains). La band si chiamerà Slash’s Snakepit.

It’s Five O’Clock Somewhere (1995 - ***) è una mezza delusione. Slash non era certo l’autore principale delle canzoni dei Guns (ruolo rivestito dal trio Rose – Stradlin – McKagan) e dunque non gode di una penna particolarmente incisiva. Si strappa la sufficienza solo perché la “fame” di Guns è già molto alta nel ‘95 e per la scelta di aver privilegiato un certo ruspante sound ‘70s in stile Black Crowes e Rolling Stones, evitando gli eccessi hair metal anni ’80, che già stanno diventando anacronistici per l’epoca. Si ricorda in particolare la power ballad Beggars And Hangers On.

Dopo ben cinque anni e con una formazione completamente rinnovata, in cui spicca la splendida voce negroide dello sconosciuto vocalist Rod Jackson, gli Slash’s Snakepit tornano in pista con Ain’t Life Grand (2000 - ***1/2). Ormai il successo dei Guns è alle spalle e l’album viene quindi ingiustamente ignorato dal grande pubblico. Si tratta invece della migliore espressione solista del chitarrista anglo – americano. Un ulteriore approfondimento del sound hard blues (quasi southern) del disco precedente porta in dote canzoni molto riuscite, come la title track o Just Like Anything.
Dopo ben dieci anni e dopo il grande successo del super gruppo dei Velvet Revolver (tre ex Guns con l’aggiunta, alla voce, di Scott Weiland degli Stone Temple Pilots), Slash torna in pista con un disco omonimo ricco di ospiti e sorprese.

Slash (2010 - ***1/2) allinea in effetti una serie impressionante di cantanti ospiti: Ian Astbury (The Cult), Ozzy Osbourne, Myles Kennedy (Alter Bridge), Chris Cornell, Lemmy, Iggy Pop, Rocco De Luca, Andrew Stockdale (Wolfmother), Dave Grohl ed altri rendono omaggio alla grande abilità del riccioluto chitarrista. L’album soffre però di poca compattezza poiché i vari ospiti sono anche autori delle loro canzoni. Piacciono soprattutto Starlight con Kennedy e Ghost con Astbury (la migliore canzone dei Cult dal 1992 in poi), mentre By The Sword con Stockdale trascina le vendite in classifica. Proprio il sodalizio con Myles Kennedy degli Alter Bridge diventerà fisso negli appuntamenti successivi.

Il doppio dal vivo Live: Made In Stoke 24/07/2011 (2011 - ***1/2) fotografa il nuovo stato di grazia di Slash e della sua band. Myles Kennedy si dimostra perfettamente a proprio agio nell’interpretazione del repertorio solista del suo leader ed anche nel non far rimpiangere Axl Rose nei classici dei Guns N’Roses (soprattutto quelli degli anni ’80). Rispetto al recente passato, Slash abbandona un attimo certe sonorità tipicamente anni ’70 per rivolgersi ad un hard rock moderno dal sound aggiornato ai nostri tempi.

Apocalypse Love (2012 - ***1/2) è l’ennesima dimostrazione dell’ottimo stato di salute in cui versa la musica di Slash. Ancora una volta alla voce c’è il sensazionale Myles Kennedy (anche coautore con Slash di tutti i brani). Il disco fornisce il meglio di sé quando appare nitido il fantasma dei Guns N’Roses di Appetite For Destruction (le belissime Apocalypse Love e No More Heroes), ma sa anche ammiccare alle nuove tendenze della musica dura, per esempio con l’intricata Anastacia, che possiede l’epicità glam di certe cose dei Muse.

 

Quello che però alla fine piace di più è la ritrovata vena di Slash nel realizzare assoli melodici sempre azzeccati.

   World On Fire (2014 - ***1/2) cementa ulteriormente l'ormai saldissimo rapporto tra Slash ed il cantante Myles Kennedy. Sembra ormai che il chitarrista con la tuba scriva album gradevoli con il pilota automatico.

Per carità, niente di particolarmente innovativo, puro street rock anni '80, ma tanto basta per accendere l'entusiasmo degli appassionati di vero rock n'roll. Qui ci sono ben 17 brani, di cui alcuni veramente non male. Sicuramente da segnalare il riff della title track (era dai tempi di You Could Be Mine che Slash non ne produceva di così incisivi) o la bellissima power ballad Wicked Stone. Poi ci sono altri momenti notevoli con Shadow Life, Too Far Gone, Iris Of The Storm e The Unholy. Viceversa non indimenticabili i coretti da stadio super ruffiani di The Dissident. Ad Axl Rose basterebbe fare quanto riesce a realizzare Slash per essere ricordato come un grandissimo della storia del rock ed invece....

 Dopo il successo di World On Fire e del conseguente tour internazionale, era abbastanza logico attendersi la pubblicazione di un nuovo album dal vivo. Live At The Roxy (2015 - ****) è un travolgente doppio cd registrato nel famoso piccolo locale del Sunset Boulevard di Los Angeles. Per Slash è una sorta di ritorno agli inizi turbolenti dei Guns N'Roses.
 

Myles Kennedy, come al solito, si trova maggiormente a proprio agio sui brani più recenti, mentre fa più fatica a seguire i sentieri già tracciati da Axl Rose. Nonostante ciò qui sono contenute versioni da antologia di Rocket Queen (più di tredici minuti) e Paradise City. Straordinarie anche Ghost, World On Fire e Starlight, mentre è un po' "pacchiana" in stile Muse Anastasia.

  Lorenzo Allori