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Lee Konitz – Subconscious-Lee

 

Anno di pubblicazione: 1950

Brani: Progression / Tautology / Retrospection / Subconscious–Lee / Judy / Marshmallow / Fishin’ Around / Tautology / Sound-Lee / Rebecca / You Go To My Head / Ice Cream Konitz / Palo Alto

Musicisti: Lee Konitz (sax contralto), Warne Marsh (sax tenore), Sal Mosca (pianoforte), Lennie Tristano (pianoforte), Billy Bauer (chitarra), Arnold Fishkin (contrabbasso), Shelly Manne (batteria), Denzil Best (batteria), Jeff Morton (batteria)

 

Da qualunque lato se ne affronti la carriera, Lee Konitz è un “peso massimo” del jazz. Si tratta in effetti di uno dei musicisti meno banali e più imprevedibili di questa musica. E la sua unicità sta soprattutto nel fatto che era così fin dal principio. Con questa recensione voglio però togliermi un piccolo sassolino dalla scarpa. Se consultate enciclopedie e saggi sul jazz, quasi tutti vi segnaleranno la figura di Konitz solo per questo capolavoro registrato tra il ’49 e il ’50 e per la partecipazione al coevo Birth Of The Cool di Miles Davis. Il resto della lunga carriera del nostro (è ancora in attività ed è un arzillo ottantaquattrenne) viene quasi sempre passato sotto silenzio; ma secondo me è proprio in tempi recenti che Konitz è divenuto qualcosa di realmente speciale.

Questo Subconscious-Lee è, insieme a Lennie Tristano ed a Intuition del duo Tristano - Marsh, l’esempio migliore della cosiddetta “scuola di Tristano”. Una musica che spesso erroneamente si definisce “cool jazz”, ma che ha veramente poco a che spartire sia con il jazz dolciastro della West Coast (etichetta Pacific), sia con le ossessioni classicistiche del Modern Jazz Quartet. Tristano era un filosofo che insegnava ai suoi allievi ad improvvisare in modo cosciente. Il procedimento è stato svelato dallo stesso Konitz: il pianista assegnava ai musicisti che componevano il proprio gruppo la melodia di uno standard da rielaborare secondo regole ben precise. Ecco che il brano Subconscious-Lee, il più famoso composto da Konitz nella sua lunga carriera, è nient’altro che la rivisitazione della melodia di All The Things You Are di Jerome Kern. Questo album dunque non contiene musica che proviene dal subconscio, ma anzi di improvvisazione massimamente pianificata a tavolino (ascoltate Judy, con l’iniziale duetto tra il pianoforte di Tristano e la chitarra di Bauer, se volete avere conferma di questa mia affermazione). A prescindere dal suono innegabilmente datato di questo lp, è proprio quest’ultimo il motivo che me lo fa giudicare poco rappresentativo dell’arte di Konitz.

Ben presto il sassofonista si sarebbe stancato dell’estrema disciplina tristaniana e si sarebbe discostato dal maestro per vivere a suo modo l’arte di improvvisatore. Soprattutto dagli anni ’90 in poi si può dire che la missione sia stata felicemente compiuta. Konitz ha mantenuto intatta la straordinaria pulizia del proprio timbro ed ha saputo sorprendere ascoltatori e partner musicali con una musica oserei dire ancora più libera del free jazz. Non sono esistiti steccati di genere che Konitz non abbia saputo valicare negli ultimi sessanta anni ed ancora oggi pochi musicisti possono vantare la sua integrità artistica.

Detto questo, Subconscious-Lee rimane comunque album godibile che serve per definire compiutamente un periodo storico in cui la grande fiammata del be-bop stava inesorabilmente spegnendosi.

Se però volete capire bene chi è Lee Konitz, il mio consiglio è quello di recuperare il libro Conversazioni sull’arte dell’improvvisatore (a cura di Andy Hamilton, edizioni EDT 2010) che racconta tramite numerose interviste il modo di intendere il jazz di questo straordinario solista del contralto. Dal punto di vista musicale invece vi rimando ad un bellissimo disco ECM del 1997 intitolato Angel Song in cui Konitz si misura con il repertorio originale del trombettista canadese Kenny Wheeler in compagnia di altri due notevoli “irregolari” come il chitarrista Bill Frisell e il contrabbassista Dave Holland. Chapeau.

 
 Lorenzo Allori