PHIL OCHS Rhythm Of Revolution
“Erano gli anni fatati di miti cantati e di contestazioni”: questo il miglior modo, prendendo in prestito le parole di Francesco Guccini, per descrivere gli anni Sessanta. Un decennio amato, odiato, rimpianto e idealizzato; un periodo irripetibile irrimediabilmente lontano e perso nella memoria. Pantaloni a zampa di elefante, camicie a fiori e slogan contro la guerra in Vietnam, speranza nel futuro e contestazione del presente, chitarre usate come armi e pagine tragiche di storia contemporanea. Un periodo in cui tutto sembrava poter accadere, come che un ragazzino di Duluth divenisse una star internazionale, o che quattro giovani di Liverpool conquistassero il mondo. Ripensando a quei giorni le immagini sfumano in un caldo color seppia: quello dei ricordi lontani, che fanno rimpiangere fugaci momenti travolti dallo scorrere del tempo.
All’ombra di questi eventi tanti sono i nomi che si sono persi, tanti altri quelli che non si sono mai conosciuti, molti i fatti dimenticati e quelli passati sotto silenzio, testimonianze scolorite dagli anni come pagine di un libro di storia che pochi si sono presi la briga di fermare a beneficio dei posteri. Tra costoro di sicuro uno sfortunato folksinger, Phil Ochs, che come un giornalista ha raccolto lo spirito di quegli “anni fatati” nelle sue canzoni, intelligenti e amari ritratti dei Sixties così come li vissero i giovani americani. Ma, come Ochs stesso ha scritto: Che Dio aiuti il trovatore che vuole diventare una stella…”
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