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Asini e conigli - La parabola letteraria di Nick Cave

Elvis Presley aveva un gemello che è nato morto. Potrebbe essere una notizia come le altre, se Nick Cave non avesse deciso di imbastirci sopra tutta una carriera di alto livello artistico, suddivisa tra canzoni, reading e romanzi.
Il fratello morto di Elvis Presley è colui che dà l'ispirazione per il titolo e le atmosfere del secondo album di Nick Cave, quel The Firstborn Is Dead che, nel 1985, aprì scenari inediti per la vicenda solista dell'ex leader dei Birthday Party. Laddove un tempo c'era furente new wave iconoclasta adesso regnava un blues sì spigoloso, ma anche a suo modo intriso di classicismo e misticismo. Così è il testo di Tupelo, che su un tappeto boogie sporco che più sporco non si può e sferragliante come una vecchia locomotiva a vapore, racconta in poche parole l'avvento di Elvis Presley, il messia del rock n'roll, citando contemporaneamente John Lee Hooker e William Faulkner.
Ed è proprio il premio Nobel per la letteratura del 1950 il primo riferimento stilistico che viene in mente leggendo E l'asina vide l'angelo (1989), primo romanzo di colui che all'epoca era già stato soprannominato "Re Inkiostro" per la sua tenebrosità d'animo.
 
E l'asina vide l'angelo è la rielaborazione dei temi già trattati da Cave in The Firstborn Is Dead e Tender Prey (1988) e venne scritto durante il periodo più acuto della sua dipendenza dall'eroina; forse proprio per questo motivo la trama tratta temi onirici ed apocalittici e mette sempre in pericolosa collisione il senso del peccato con la voglia di commetterlo.  Il romanzo racconta la vicenda della misteriosa valle di Ukolore, situata da qualche parte nel profondo sud degli Stati Uniti. Questa valle è salvata da una siccità che è come una piaga biblica dal misterioso apparire di una neonata abbandonata chiamata Beth. 

Gli Ukoliti cominciano a venerare Beth come una divinità, ma all'interno della comunità vive il giovane Euchrid Eucrow, ritardato e continuamente seviziato dal padre ubriacone, che ha pensieri impuri sulla bambina e decide di distruggere la serenità della valle con una serie di azioni che porteranno verso una terribile escalation di violenza.
Si tratta a ben vedere di un racconto affatto gradevole, quasi grottesco in alcuni tratti, ma è un grottesco che non strappa sorrisi, anzi si tinge di un affascinante "nero seppia gotico", che ricorda i mostri situati sulla facciata di Notre Dame.

Si diceva dei continui riferimenti all'opera di William Faulkner: effettivamente lo stile "flusso di coscienza" del libro è tipico del grande romanziere americano. In particolare sembra che il riferimento maggiore possa essere rintracciato nel romanzo Mentre morivo (1930), una delle opere letterarie più originali ed innovative del secolo scorso. E' impossibile non accorgersi che Cave deve aver meditato a lungo le pagine di Faulkner nel modo in cui viene presentato il personaggio di Euchrid, completamente avulso dalla razionalità, ma in un qualche modo misterioso più perspicace degli altri nel riconoscere e perseguire il disegno divino. E' una chiaroveggenza dei folli che lo accomuna a Darl, il figlio ritardato della famiglia protagonista di Mentre morivo. Le analogie però non si fermano qui: si legga ad esempio le pagine in cui Cave descrive il lungo e terribile diluvio, confrontandole con il modo in cui Faulkner racconta la scena chiave del suo romanzo, ovvero il guado del fiume ingrossato dal temporale. Insomma E l'asina vide l'angelo è romanzo complesso e di grande valore letterario, ma adombrato da una piaggeria forse eccessiva verso lo stile e la poetica di William Faulkner, peccato tutto sommato veniale, trattandosi di un'opera prima.

Mentre tutto il mondo si aspettava che Nick Cave si cimentasse nuovamente nella letteratura per vedere come si sarebbe evoluto il suo stile, ecco che lui sdegnosamente si rifugiava in Brasile e ne usciva con un disco spirituale e pacificato come The Good Son (1990). All'epoca molti non colsero il momento di svolta, ma in effetti l'artista tormentato, eroinomane e provocatore non esisteva già più, sostituito da un validissimo artigiano canzoniere, capace come pochi di indagare il più profondo spirito umano. Nel corso degli anni ci siamo sempre più abituati a questo Nick Cave prosaico e pio (brani come Foi Na Cruz, God Is In The House, Dig Lazarus Dig!!! e l'intero album The Boatman's Call), se vogliamo più vicino al messaggio evangelico che al terribile Dio del Vecchio Testamento (il titolo E l'asina vide l'angelo altro non era infatti che una citazione del libro dei Numeri del Pentateuco biblico - capitolo 22, versetti da 23 a 31). Rispetto alla terribile furia dei Birthday Party o del primissimo periodo solista, sembrano degli scherzetti per bambini (anche se quasi sempre ben riusciti) le ballate omicide o i brani up - tempo realizzati da Cave negli ultimi venti anni.
 

 

Nel 2009 infine il nostro ha interrotto il proprio silenzio letterario regalando alle stampe il romanzo La morte di Bunny Munro, misteriosa vicenda di redenzione di un commesso viaggiatore perverso, costretto ad occuparsi da solo del figlio di nove anni, in seguito al suicidio della moglie. Un libro, lo premetto in partenza, veramente deludente.
La sorpresa più grande riveniente dalla lettura del romanzo è la distanza quasi totale rispetto alle tradizionali tematiche del maestro Faulkner.
Per prima cosa la vicenda non si svolge nel Dixieland americano, ma nel sud dell'Inghilterra, poi lo stile è mutato in uno sberleffo reiterato ad oltranza senza il "flusso di coscienza" di cui sopra.

Di Faulkner rimane il senso del peccato immanente soprattutto nelle fasi finali dell'intreccio ed alcune momenti della vicenda di formazione del piccolo Bunny Junior, che possono ricordare il racconto lungo L'orso (1942 - ultimo atto della raccolta di racconti Go Down Moses) appunto di Faulkner, pur nell'ambientazione totalmente diversa.
Questa volta l'influenza più evidente sembra invece essere la letteratura post - postmoderna. Il personaggio di Bunny Munro è talmente ossessionato dal sesso da mettere a repentaglio la propria sopravvivenza e quella del figlio per procacciarsi un incredibile susseguirsi di sveltine. Il linguaggio è duro, crudo, praticamente ai limiti della pornografia e sembra direttamente ispirato alle opere di Chuck Palahniuk (autore tra gli altri di Fight Club - 1998 e Soffocare - 2001). Questo filone narrativo occupa circa tre quinti della trama, i restanti due quinti si dividono tra l'attesa del castigo divino per tanta stoltezza e scelleratezza e il racconto del tenero rapporto tra padre e figlio. Anche su quest'ultimo tema si individua un illustre precedente post - postmoderno, cioè la scherzosa autobiografia L'opera struggente di un formidabile genio (2000) di Dave Eggers, in cui viene raccontata l'intesa che nasce tra fratello maggiore e minore all'indomani dell'improvvisa morte dei genitori.

Mai nessun scrittore ha effettuato un tale triplo salto carpiato tra lo stile dell'opera prima e quello della seconda, né possono essere portati a giustificazione i venti anni passati tra l'uscita dei due romanzi. La verità è che Nick Cave ha dimostrato con il pasticcio di Bunny Munro di non essere un vero scrittore di romanzi, o meglio forse di essere un romanziere da opera unica, quest'ultima inficiata in parte dal pesante tutoraggio di un grande maestro del passato. Il nuovo Cave romanziere sembra un ragazzetto che rida per uno scherzo di cattivo gusto fatto ai propri estimatori.
Ci auguriamo che torni alle canzoni per almeno altri venti anni.

 Lorenzo Allori

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