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Afghan Whigs Discografia

L'Ohio è lo stato che ha dato i natali ad alcune delle band più importanti della storia del rock alternativo americano (Dead Boys e Pere Ubu provenivano da Cleveland). Cincinnati entra di diritto nella stessa storia perché qui nacquero, nel 1986, gli Afghan Whigs. La band viene fondata dal chitarrista e cantante Greg Dulli, che conosce nella prigione di stato il futuro bassista John Curley. I due sono dentro per reati di poco conto, ma Greg è stato in passato affiliato ad un clan della mafia greca, per il quale si dice svolgesse la poco edificante attività di piromane. Richard McCollum (chitarra) e Steve Earle (batteria - soltanto omonimo del ben più famoso cantautore country rock) completano la formazione di uno dei gruppi destinati a segnare il rock americano degli anni '90.

Il primo album, Big Top Halloween (1988 - **1/2), è mal prodotto e decisamente acerbo. Il riferimento principale del gruppo rimane il punk rock e dunque la sporcizia sonora è quasi un punto d'onore.

Il primo lavoro che fa drizzare le antenne a critica e pubblico si intitola Up In It (1990 - ***). Si tratta di un disco poco dissimile da quanto stanno facendo contemporaneamente diverse band alternative rock americane. Ritarted, per esempio, è un inno tra i più belli di quella irripetibile stagione. Ma se si ascolta bene, tra le righe emerge un gusto melodico molto particolare, figlio della passione di Dulli e McCollum per il grande soul degli anni '60. Soprattutto per questo gli Afghan Whigs saranno ricordati.

Fin dalla strepitosa copertina, Congregation (1992 - ***1/2) è il luogo in cui le intuizioni di cui sopra si compiono. La pericolosa sensualità soul di Dulli si dispiega con tutta la propria forza in brani come Conjure Me (semplicemente strepitosa), I'm Her Slave o nella title track. Se il funk era stato uno dei motori dell'epopea post punk, non si capisce proprio perché l'alternative rock doveva rimanerne immune. The Temple è poi una sorprendente cover di un brano della colonna sonora del musical Jesus Christ Superstar.

 
 

Il capolavoro del gruppo arriva con Gentlemen (1993 - ****), disco superlativo, peraltro annunciato da un'altra grande copertina. Il rock dei Whigs è diventato maturo, pur mantenendo quella strana aura di disperato romanticismo. La title track ha uno dei riff di chitarra più incisivi del decennio, ma anche Debonair, When We Two Parted e Be Sweet sono indimenticabili.

Quando la critica comincia ad osannare qualsiasi cosa facciano gli Afghan Whigs, cominciano i problemi. Ad esempio Black Love (1996 - ***) viene considerato l'ennesimo capolavoro ed invece è un album solo normale. Il problema è che il gruppo ha capito il trucco e qui estremizza al massimo le proprie caratteristiche, finendo per sembrare quasi una parodia di se stesso. Ciò non significa certo che le torbide atmosfere dell'album siano del tutto prive di fascino. Quando la band decide di spingere sull'acceleratore si trovano comunque brani di grande livello come Crime Scene Part One (pur con un'interpretazione vocale troppo sforzata da parte di Greg), My Enemy, Bulletproof o Faded.

Con l'ennesima copertina azzeccatissima, viene prodotto anche il controverso 1965 (1998 - ***). L'album viene registrato a New Orleans ed è un dichiarato omaggio a quella cultura musicale (c'è anche una sezione fiati) ed in particolare al grande Yellow Moon dei Neville Brothers. Nonostante le buone intenzioni, le scelte musicali non convincono fino in fondo. 66 e John The Baptist sono le canzoni da ricordare.

Gli Afghan Whigs non esistono più, eppure un gruppo con questo nome (ma della formazione originale ci sono soltanto i due fondatori) dà alle stampe Do To The Beast (2014 - ***1/2). L'album strappa un ottimo voto perché in questi anni c'è ancora spazio (e ci mancherebbe) per l'irresistibile passionalità dei Whigs. L'impressione è che la vicinanza con i nostri Afterhours abbia influenzato Dulli più di quanto ci si potesse aspettare.  

Il riff hard rock di Parked Outside, il maestoso crescendo funky di It Kills o le power ballad The Lottery e I Am Fire sono davvero da non perdere. Questi Afghan Whigs mutilati della chitarra di Rick McCollum sono comunque migliori degli altri progetti sfornati da Dulli in anni recenti. Bentornati senza se e senza ma.

  L'aspetto che più colpisce degli Afghan Whigs del nuovo millennio è quel loro essere una formazione aperta, ovviamente sempre costruita intorno alla voce ed alla scrittura di Dulli. Questa volta ad esempio partecipa il talento poliedrico di Petra Haden. In Spades (2017 - ***) appare influenzato dalle coeve uscite, più leggere del passato, da parte della Mark Lanegan Band (di cui Greg Dulli fa saltuariamente parte).

Gli arrangiamenti sono spesso fin troppo ricchi e pieni di riferimenti poco decifrabili (Arabian Heights), ma quando Dulli azzecca la canzone (Birdland, Demon In Profile, The Spell, Into The Floor) gli Afgan Whigs continuano ad essere una delle band più eccitanti del pianeta.

  Lorenzo Allori