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BRUCE SPRINGSTEEN Discografia

 

E tu Asbury Park, terra del New Jersey, non devi sentirti come la meno importante delle città del New Jersey, perché da te verrà suscitato un condottiero capace di cambiare il corso della storia del rock. Scusate la mezza citazione biblica, ma è quanto mai appropriato dovendo parlare del più importante rocker degli ultimi quaranta anni. La Columbia lo mette sotto contratto intuendone le potenzialità come cantautore ed ignorandone invece le caratteristiche rock e soul.

Il primo album, Greetings From Asbury Park, New Jersey (1973 - **1/2), è parzialmente rovinato da una produzione deficitaria. La sezione ritmica viene sacrificata in favore delle parti vocali ed a risentirne è soprattutto il suono della batteria. La E-Street Band nella sua prima versione è già un mito nel New Jersey, con il suo strepitoso mix di rockabilly e rhythm n’blues, ma qui quasi non si sente. Detto questo, Growin’ Up e Spirit In The Night sono due grandi canzoni, mentre ancora non ci siamo tolti dalla testa le immagini dylaniane del testo di Lost In The Flood e quella definitiva dichiarazione d’intenti rock n’roll intitolata Blinded By The Light.

 

The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle (1974 - ***) segue a distanza di pochi mesi e pur registrando un secondo fiasco commerciale, la resa artistica è invece decisamente superiore. Questo è l’album più “black oriented” della lunga carriera del Boss. La voglia di ballare è contagiosa fina dalle note dell’iniziale The E-Street Shuffle e si propaga per tutto il disco ed in particolare nel noto singolo Rosalita (Come Out Tonight).

La scrittura di Springsteen è già diventata molto varia, se è vero che le tre migliori canzoni del disco sono profondamente diverse tra loro: Kitty’s Back vive su avvincenti stop and go e cambi di atmosfera, 4th Of July, Asbury Park (Sandy) è una struggente canzone d’amore, mentre la splendida Wild Billy’s Circus Story è domiciliata dalle parti della Los Angeles di Closing Time di Tom Waits.

Con l’arrivo di Max Weimberg alla batteria e di Roy Bittan al pianoforte, la E-Street Band assume una connotazione meno black e più rock n’roll. I frutti si vedono con l’uscita del primo vero successo della carriera del nostro. Born To Run (1975 - *****) è album che rasenta la perfezione e che dovrebbe essere mandato a memoria da tutti gli amanti del vero rock. Della title track, immortale inno carico di speranza, è inutile scrivere qualcosa (come del resto degli altri due singoli Thunder Road e Backstreets); e allora ci piace ricordare la lunga epopea di Jungleland, il grande rhythm n’blues intitolato 10th Avenue Freeze-Out e le suggestioni jazz della ballata Meeting Across The River. E pensare che Bruce non era convinto della qualità di queste canzoni!

Nello scorso decennio è uscito il doppio dal vivo Live At The Hammersmith Odeon ’75 (*****), testimonianza perfetta di un concerto della E-Street Band in un piccolo club. Dimenticatevi le folle oceaniche e gli stadi; questo era il miglior Bruce Springsteen in assoluto e “Bittan, Clemons, Federici, Tallent, Van Zandt, Weinberg” è formazione che vale quella del Grande Torino. In questo disco c’è l’unica testimonianza ufficiale del mitico Detroit Medley, con il quale il gruppo all’epoca era solito omaggiare il pop Motown degli anni ’60.

Incurante di cause e vari problemi legali con il proprio management, Springsteen licenzia quello che (almeno per me) rimane il suo miglior lavoro. In Darkness On The Edge Of Town (1978 - *****) sono sparite la baldanza e la fiducia di Born To Run, in favore di una serie di amare riflessioni sullo stato della ricchezza e del mondo del lavoro negli Stati Uniti. L’amarezza appare lampante in canzoni come Factory o Racing In The Street, ma perfino le scatenate Prove It All Night e Candy’s Room non riescono a trasmettere felicità e voglia di ballare. C’è molto soul in Darkness: dagli oscuri presagi biblici di Adam Raised A Cain, al singolo Badlands, passando per la già citata Factory. Dopo circa otto – nove canzoni spettacolari le telecaster ruggenti della title track azzerano il tutto e certificano la grandezza di questo nuovo mito americano. Se anche la carriera di Bruce Springsteen si fosse chiusa qui, il suo posto nel gotha del rock sarebbe stato assicurato.

La creatività del Boss mostra tracce di bulimia con l’uscita del fortunato doppio The River (1980 - ***1/2), disco di ottimo livello che risente però di un’eccessiva disomogeneità. John Lennon definirà Hungry Heart il più grande singolo della storia del rock e questo già basta a definire il valore della scaletta, la quale però si muove schizofrenica tra scatenati rock anni ’50 (Sherry Darling, I’m A Rocker), folk rock (Stolen Car), classicità rock (The River, Out In The Street, Ramrod) e ballate pianistiche (Indipendence Day). Ognuno ha la sua chiave di lettura per decifrare The River; per esempio a me piace ricordare due dei pezzi più sottovalutati di tutto il repertorio: Two Hearts e You Can Look (But You Better Not Touch). Quasi un greatest hits fatto da inediti.

Pochi si ricordano l’autentico shock che provocò nel mondo del rock l’uscita di Nebraska (1982 - ****). Accantonata per un attimo la band, Bruce si ripresenta al mondo così come lo aveva scritturato John Hammond dieci anni prima: solo chitarra acustica e voce. E qui ci racconta, come nessuno dai tempi di Woody Guthrie era riuscito a fare, l’America profonda, quella del Midwest e delle grandi pianure.  

L’unico punto debole di queste canzoni sono gli arrangiamenti talvolta eccessivamente minimali. Ma come resistere a squarci di vita autentica come Atlantic City, Mansion On The Hill, Johnny 99, State Trooper, Open All Night e My Father’s House? L’altra faccia degli anni ’80 reaganiani.

 Oltre venti milioni di copie vendute non rendono spesso sereno il giudizio su Born In The U.S.A. (1984 - ***). Roy Bittan e Danny Federici decidono in questa occasione di scardinare il binomio pianoforte / organo che da sempre accomuna la E-Street Band a The Band, optando per l’uso di moderni sintetizzatori. Ne escono alcuni dei singoli più fortunati di Springsteen (Born In The U.S.A., Glory Days, My Hometown, I’m On Fire e soprattutto Dancing In The Dark) ma, a prescindere dal valore comunque più che dignitoso di queste canzoni, occorre dire che il boss non è divenuto un Brian Adams qualunque e brani come No Surrender o Darlington Country sono lì a testimoniarlo forte e chiaro. Ronald Reagan scambiò questo disco come una dichiarazione patriottica; invece si tratta di un Nebraska più rock

 

 Live 1975 – 1985 (1986 - *****) viene spesso criticato poiché si tratta di una raccolta che racconta il sudore di dieci anni di E-Street Band a giro per il mondo e non di un’esibizione unica. Che dire? Avercene di raccolte così! L’arrangiamento pianistico della Thunder Road del tour europeo del ’75 apre le danze e si continua attraverso una girandola di sorprese attraverso tre cd o cinque lp: dai piccoli club, fino agli stadi stracolmi dell’ultimo tour.

La popolarità di Bruce è tale che un oggetto così costoso entra comunque nella top 10 americana. Segnalo con piacere Fire, Because The Night, It’s Hard To Be A Saint In The City, Racing In The Street, Born To Run, The River, No Surrender e le cover di This Land Is Your Land (Woody Guthrie), Jersey Girl (Tom Waits) e War (Norman Whitfield).

Con una mossa a sorpresa, Bruce Springsteen opta per una formazione “mobile” della E-Street Band, anche per permettere a Clarence Clemons e Little Steven di mettere su disco alcune idee soliste. Tunnel Of Love (1987 - ***) è forse il disco più ostico della carriera del Boss. Un album che racconta del matrimonio + divorzio + nuovo amore del nostro attraverso dodici bozzetti di sussurrata amarezza. L’elettronica ha una parte importante negli arrangiamenti, ma è comunque sempre discreta. L’iniziale doo woop intitolato Ain’t Got You o il singolo pop Brilliant Disguise non raccontano un granché di un album che vive soprattutto sulla tristezza cosmica di Tougher Than The Rest, Cautious Man e Valentine’s Day.

Sciolta definitivamente la E-Street Band tra le polemiche (soprattutto con il sassofonista Clarence “Big Man” Clemons), Springsteen licenzia due album gemelli che escono nello stesso momento. Human Touch (1992 - *1/2) è il primo dei due e la votazione dice già tutto. Scaletta orribile (a cominciare dalla ridicola title track) da cui si salvano parzialmente solo 57 Channels (And Nothin’ On), Man’s Job e I Wish I Were Blind. Molto meglio invece Lucky Town (1992 - ***1/2), che parte come un nuovo Nebraska ma poi, a strati, vengono aggiunti nuovi strumenti fino a farlo diventare un grande disco rock n’roll profumato di folk. Better Days, Lucky Town, If I Should Fall Behind e My Beautiful Reward sono né più né meno dei nuovi classici del repertorio del Boss.

La trasmissione televisiva MTV Unplugged, dopo aver rilanciato alla grande la carriera di Eric Clapton, negli anni ’90 è un punto di arrivo per molti artisti. Anche Springsteen partecipa con una strana ed irrefrenabile voglia di suonare……..elettrico. In Concert MTV Unplugged (1993 - **1/2) è album dal vivo superfluo, che inizia acustico con Red Headed Woman, per poi continuare con la spina inserita. Da ricordare solo una bella versione di Man’s Job e la mitica Atlantic City elettrica. Roy Bittan è l’unico membro della E-Street Band sul palco insieme al Boss.

Gli anni ’90 di Bruce sono un periodo di colonne sonore (oscar per The Streets Of Philadelphia, grande considerazione di critica e pubblico per il folk profumato di country di Dead Man Walkin’ e Secret Garden, pregna delle stesse atmosfere di Tunnel Of Love ed inserita nella Soundtrack di Jerry McGuire) e singoli sparsi in raccolte e tributi (Murder Incorporated, Blood Brothers e la splendida This Hard Land – tutte con la E-Street Band). Quando tutti si aspettavano un nuovo disco rock, ecco che il Boss torna sulle scene con l’ideale successore di Nebraska. Si intitola The Ghost Of Tom Joad (1995 - ****) ed intende aggiornare il dolore dell’emarginazione sociale negli States agli anni di Bill Clinton. Le storie che questa volta racconta Springsteen parlano del Sud degli States e dell’epopea degli immigrati clandestini latini, ponendole esplicitamente a confronto con quelle delle grandi migrazioni degli agricoltori negli anni della Grande Depressione. Ecco perché già il titolo richiama John Steinbeck e Woody Guthrie. La title track è bellissima, ma dello stesso materiale aureo sono anche Sinaloa Cowboys, The Border e Straight Time. Questa volta la chitarra acustica e l’armonica di Springsteen sono accompagnate quasi sempre da violino e basso (Gary Tallent), coprendo uno dei pochi punti deboli di Nebraska.

Le b-sides del Boss sono sempre state un ambito tesoro. Nel 1998 esce Tracks, quello che dovrebbe esserne il contenitore definitivo. Negli anni si scopre che si tratta invece di una raccolta parziale ed incompleta, che certamente non porta giovamento alla reputazione di Bruce Springsteen. Già l’anno successivo esce 18 Tracks (1999 - ***), in cui vengono raccolti 16 episodi del cofanetto più altri due inediti. E sono proprio queste ultime due canzoni a farci rimpiangere la grandezza dell’autore che fu. The Fever è una canzone profumata di soul e doo woop che ha un incedere regale; The Promise è invece una ballata pianistica in cui i sogni di Thunder Road vengono polverizzati definitivamente. Per il resto questo cd si ricorda per le tastiere anni ’80 di Rendezvous (che sa molto di Bob Seger), per il rock anthemico di My Love Will Not Let You Down e per la versione acustica di Growin’ Up, che permise al giovane Bruce di strappare il contratto con la Columbia. Qui è anche contenuta la primissima versione di Born In The U.S.A. (acustica con chitarra slide) che doveva far parte della tracklist di Nebraska.

La ricostituzione della E-Street Band addirittura con tre chitarre (il Boss, Little Steven ed il bravissimo cantautore Nils Lofgren) porta all’uscita di un nuovo doppio live. Si intitola Live In New York City (2001 - *****) ed è interessante per diversi motivi: innanzi tutto per due inediti di buon livello (soprattutto il secondo) come American Skin (41 Shots) e Land Of Hope And Dreams, cioè ancora due brani che parlano di immigrazione in modo contrapposto; poi c’è da segnalare un nuovo sound quasi garage rock, sapientemente guidato dalla chitarra di Lofgren e dalla devastante batteria di Weimberg. Youngstown, Ramrod e Murder Incorporated sembrano infatti uscite da un album degli MC5. Travolgente l’inizio del concerto con il trittico My Love Will Not Let You Down / Prove It All Night / Two Hearts. C’è poi spazio per i soliti siparietti di “call and reponse” con Out In The Street, If I Should Fall Behind e 10th Avenue Freeze – Out. Bellissime le lunghe epopee di Lost In The Flood e Jungleland. Solo nella versione su nastro è presente anche l’ennesima versione di Born To Run.

Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 non possono lasciare indifferenti un osservatore attento come Bruce Springsteen. Tra venti anni ci ricorderemo di The Rising (2002 - ***1/2) come dell’album rock che più acutamente ha raccontato il dramma psicologico dell’America impaurita e confusa dal terribile attentato. Il suono classico della E-Street Band (rinforzata dal violino di Soozie Tyrrell) viene rispolverato nei due singoli (Lonesome Day e The Rising), ma poi il disco si sposta su territori più folk rock con Waitin’ On A Sunny Day e Mary’s Place. Si tratta comunque di un repertorio piuttosto solido che, pur con qualche scivolata (le atmosfere mediorientali di Worlds Apart), si difende alla grande grazie alle bellissime Into The Fire e My City Of Ruins.

Annunciato come il seguito ideale di The Ghost Of Tom Joad e Nebraska, Devils And Dust (2005 - **) assomiglia invece molto di più a Lucky Town per l’aggiunta di strumenti elettrici a canzoni che sono state pensate per il solo binomio chitarra e voce. Ci sono però poche canzoni incisive. Si ricordano solo la title track (che racconta la guerra in Iraq)  e Reno, mentre Long Time Comin’ e The Hitter hanno tutto il diritto di figurare nel miglior repertorio dell’autore. Bruce spiazza tutti dichiarando di essersi ispirato al temibile duo new wave / elettronico dei Suicide, dei quali riprenderà nel successivo tour la spettrale Dream Baby Dream.

We Shall Overcome: The Seeger Sessions (2006 - ***) è un curioso omaggio all’opera del grande cantautore folk Pete Seeger. L’album, suonato invero molto bene, gode di buonissima stampa, ma non si merita, a mio parere, più della sufficienza poiché Bruce non coglie affatto l’essenza country folk della musica di Seeger, eccedendo con elementi di black music in stile New Orleans. Comunque azzecatissime O Mary Don’t You Weep e John Henry, mentre finisce per essere tropo ripetitivo il singolo Pay Me My Money Down.

L’esperienza con la Seeger Sessions Band è talmente intensa da convincere il Boss a realizzare l’ennesimo doppio cd dal vivo. Live In Dublin (2007 - ****) è un grande episodio di combat folk situato al crocevia tra i Pogues, Paul Simon e John Mellencamp. Accanto a Eyes On The Prize, Further On (Up The Road), Blinded By The Light e We Shall Overcome, brillano la cover del classico jazz When The Saints Go Marchin’ In e l’inedita American Land, quest’ultima gaelica quasi come una canzone dei Chieftains. Archi e ottoni sono più padroni del palco delle chitarre.

La E-Street Band torna in pista con il deludente Magic (2007 - **), che vorrebbe replicare il sound tosto del live newyorkese di qualche anno precedente. Purtroppo il produttore Brendan O’Brein combina un mezzo pasticcio ricreando il “wall of sound” di Born To Run, senza le necessarie dinamiche. Le canzoni (peraltro pure bruttine) ne risultano soffocate. Da menzionare comunque il divertente singolo Radio Nowhere e la conclusiva Devil’s Arcade.

Stimolato dall’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, Bruce realizza un disco carico di buone vibrazioni che si intitola Working On A Dream (2009 - ***1/2). Se la title track non è un granché e l’epica Outlaw Pete ruba ben più di qualche nota ad I Was Made For Lovin’ You dei Kiss, sono le canzoni cosiddette “minori” a piacere. Good Eye è un blues spettrale che sarebbe piaciuto ai Suicide, The Wrestler è un’altra grande ballata (dopo The Hitter) che tratta il tema dello sport come redenzione, My Lucky Day e Queen Of The Supermarket recuperano invece un classicismo rock che non stona affatto in un disco Springsteeniano, anzi.

La E-Street Band è a pezzi a causa della morte di Danny Federici e Clarence Clemons, mentre il batterista Max Weimberg risente di gravi problemi cardiaci. Springsteen decide allora di effettuare un’interessante unione tra i suoi musicisti preferiti (E-Streeters, Seeger Sessioners ed altri) per realizzare un grandissimo disco.
 Wrecking Ball (2012 - ****), pur recuperando forse troppe canzoni già note (l’eccezionale title track, Land Of Hope And Dreams ed American Land) è infatti disco dai forti aromi folk rock certamente ben riuscito. Meriterebbe addirittura mezzo voto in più se non fosse per l’orribile singolo We Take Care Of Our Own, che potrebbe essere una b-side di Born In The U.S.A. Jack Of All Trades, You’ve Got It ed Easy Money sono canzoni tra le più significative scritte dal Boss fin dai tempi di The Ghost Of Tom Joad.
La sempre più strana strategia discografica del Boss vede un'ulteriore evoluzione con l'album High Hopes (2014 - **1/2). Si tratta di una raccolta di canzoni un po' bislacca (rifacimenti di vecchie songs, qualche brano nuovo, diverse cover), che riporta diretti alle deludenti esperienze dei primi anni '90.  

La vera protagonista dell'album è la chitarra poco convenzionale di Tom Morello, sicuramente eccellente nei Rage Against The Machine ed invece spesso inopportunamente petulante al fianco di Springsteen. Morello suona in ben sette canzoni e guarda caso sono le meno convincenti della tracklist (se si esclude la buona Just Like Fire Would ed American Skin, già deludente di suo nel 2000 e quindi non compromessa affatto dal nuovo arrangiamento). Sono invece canzoni con la "c" maiuscola Down In The Hole, Frankie Fell In Love e la dolente cover di Dream Baby Dream dei Suicide (già ascoltata nel tour solista di Devils & Dust). Un giorno forse Bruce ci spiegherà perché non convoca più volentieri la E-Street Band tra le mura di uno studio di registrazione.

  La forza ed il valore delle esibizioni della E-Street Band negli anni '70, sono ormai riconosciute universalmente. Per questo motivo vengono sempre più spesso rimasterizzati alcuni bootleg storici dell'epoca aurea del Boss. Live At Capitol Theater, Passiac NJ (2014 - ****1/2) era fino ad oggi noto come Piece De Resistance ed in quella veste era divenuto il bootleg più famoso della sconfinata pletora di dischi illegali di Springsteen.

Quel magnifico concerto del settembre 1978, trasmesso dalla radio pubblica e per questo registrato in modo semi professionale, viene riproposto su tre cd (comprensivi purtroppo di alcuni inserti vocali degli speaker della radio). Siamo di fronte probabilmente alla migliore incarnazione della band (sezione ritmica impressionante, Roy Bittan lirico come poche altre volte, Bruce vocalmente sempre in tiro), con versioni eccezionali di Streets Of Fire, Backstreets, Racing On The Street, Jungleland, Darkness On The Edge Of Town e Rosalita (Come Out Tonight). Ci sono pure un paio di anticipazioni di canzoni che finiranno nell'infinita scaletta di The River. Assolutamente da avere se si è amanti dell'epopea springsteeniana.

Come fatto da tempo da stimati colleghi (Pearl Jam in primis), anche Bruce Springsteen permette di scaricare i bootleg ufficiali dei propri concerti. Si inizia con il tour del 2013, non a caso considerato uno dei migliori della carriera del Boss. Il primo bootleg ad uscire sul mercato è riferito proprio al concerto di Roma di giovedì 11 luglio 2013.
Ippodromo delle Capannelle, Rome 2013 (2015 - ****) è un poderoso triplo cd in cui spiccano soprattutto le reinterpretazioni di canzoni del primissimo repertorio (Spirit In The Night, Badlands, Kitty's Back, Incident On 57th Street, New York City Serenade), tutte addizionate di una carica romantica veramente dirompente 

Con l'avanzare della scaletta emergono anche i consolidati tic di Bruce dal vivo: pronto a dialogare con i singalong del pubblico (Thunder Road, Waiting On A Sunny Day, Dancing In The Dark), oppure a giocare sul dualismo tra le tastiere ed il sax (Bobby Jean, Darlington County, Born In The U.S.A., Working On The Highway). Rimane, come sempre, un gran bel sentire ed uno degli spettacoli rock più poderosi e completi di tutti i tempi.

 Lorenzo Allori