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David Sylvian - When poets dreamed of angels

 Una voce calda e profonda, capace di emozionare senza mai perdere un filo di aristocratico distacco. Una cifra musicale sottile ed elegante, che attinge da ambient, jazz, world music ed elettronica per creare raffinate dream songs che attendono, a tutt'oggi, eredi di rilievo. Uno stilista della musica e, insieme, un artista senza compromessi. Un inglese perfetto e, allo stesso tempo, un cittadino del mondo.
Questo in sintesi è stato, ed è tuttora, David Sylvian. Leader del gruppo glam-wave Japan sul limitare degli Ottanta, li lascia per una carriera solista che lo porta a collaborare con le maggiori teste pensanti della scena rock sperimentale (Ryuichi Sakamoto su tutti, ma anche Robert Fripp, Jon Hassell, Holger Czukay, Bill Nelson) e a creare praticamente dal nulla, tra il 1984 e il 1987, tre dischi di qualità straordinaria (Brilliant Trees, Gone To Earth e Secrets Of The Beehive), tra i più belli della storia della nostra musica.
In seguito la sua produzione attraversa fasi alterne per tornare, però, a spiccare negli ultimi anni, con la creazione della casa discografica "samadhisound" e alcuni CD coraggiosi e innovativi come Blemish e Manafon. Una nuova scena di giovani musicisti di avanguardia si va radunando attorno a Sylvian, testimoniata anche dalle collaborazioni raccolte nel recentissimo Sleepwalkers. Abbiamo pensato dunque che fosse arrivato il momento giusto per una piccola guida all'ascolto ragionevolmente esaustiva... Sembra passato un secolo da quando chi scrive si liberò di un po' di libri scolastici in eccedenza per comprarsi Brilliant Trees. Poi lo mise sul piatto e, arrivato alla title track, la ascoltò abbagliato e la rimise su una, due, cinque, dieci volte di fila, fino a rischiare la puntina dell'impianto e la pazienza dei familiari!!! Adesso, ventisei anni dopo, è ancora qui ed è diventata la sigla finale di "Paesaggi Immaginari". Senza tempo, come tutta la musica di questo grande artista.

 

Un disco da isola deserta   Gone To Earth (***** e lode, 1986).

Edito come doppio album, uno cantato e uno strumentale, dissolve le ultime tracce Japan in una dolce marea di canzoni dilatate, avvolgenti, liricamente profonde, in cui la bellezza della voce si accompagna ai pregevoli interventi di solisti di prestigio (Bill Nelson in Before The Bullfight, Robert Fripp nella macerata e struggente Wave). La grande sorpresa, però, è il secondo disco, una raccolta di strumentali ambient più Eno di Eno, con in più gli assoli strappacuore di un Fripp ispiratissimo. Così le splendide Upon This Earth e Camp Fire: Coyote Country, mentre la malinconica The Wooden Cross è tutta targata Sylvian e la serena Silver Moon Over Sleeping Steeples ospita la pedal steel guitar del grande BJ Cole. Musica di sublime raffinatezza e amplissimo respiro, solo di recente ristampata degnamente in CD. E per chi scrive, il disco più bello degli anni Ottanta.

 

Per cominciare

L'opera ideale per iniziare alla sottile arte di Sylvian è però il successivo Secrets Of The Beehive (*****, 1987). Rispetto a Gone to Earth restano fuori Nelson e Fripp, mentre rientra in formazione Sakamoto, che produce il disco. Arriva l'orchestra ed ogni asprezza sperimentale viene abbandonata per una canzone d'autore melodica e inquieta, che aggiorna alla temperie elettronica le intermittenze del cuore di Nick Drake e John Martyn. Da Mother And Child, felpata d'inquietudine jazz, alla notturna e ambientale Maria, alla splendida e ‘flamencata' When Poets Dreamed Of Angels, è una bellissima sequenza di brani intimisti, da ascolto raccolto e autunnale, in perfetta sintonia col brano introduttivo September e con le grisaglie della copertina. Unico raggio di sole in mezzo alla nebbiosa malinconia del disco, la delicata Orpheus. E quella voce...

 

Da avere assolutamente

 Brilliant Trees (*****, 1984) è l'opera prima e il primo capolavoro. Sciolti i Japan, Sylvian li riforma e li trasforma mescolandoli all'amico Ryuichi Sakamoto (con cui ha collaborato l'anno prima per Bamboo Music e la meravigliosa Forbidden Colours) e al primo supergruppo di musicisti della sua carriera (Jon Hassell, Holger Czukay dei Can, Mark Isham).
Una certa inclinazione pop e le ritmiche di Pulling Punches e Red Guitar pendono ancora dalle parti del gruppo madre, così come il melodico esotismo dandy di Nostalgia. Ma quando a menare le danze sono Sakamoto e l'incredibile tromba di Jon Hassell, allora cambia tutto. Weathered Wall è un incantesimo, Brilliant Trees l'apoteosi. Una sommessa invocazione nella prima parte, con la splendida voce di Sylvian al suo massimo espressivo, e un ombroso rituale sciamanico nella seconda, tutta strumentale, world music anni prima della world music.
Dopo dodici anni di alterne vicende personali e professionali, dopo il matrimonio e il trasferimento in America, nel 1999 Sylvian torna finalmente a pubblicare un disco a suo nome. Tutto fuorché l'opera di un sopravvissuto, Dead Bees On A Cake (**** ½ , 1999) presenta un elegante e convincente riassunto del Sylvian sound e diventa una delle uscite chiave dell'anno. David riannoda i fili della sua musica serena e riflessiva, si affida ancora a Sakamoto, al fratellino Steve Jansen e a jazzisti come Kenny Wheeler, Bill Frisell e Marc Ribot. Incantevoli, come sempre, gli intarsi di canzoni dolci e rarefatte come Cafè Europa, Thalheim, Krishna Blue, I Surrender. Altre tuttavia sono più insolite: Midnight Sun regala schegge di blues, The Shining Of Things riflette la voce ancora immacolata di Sylvian sullo sfondo della nuda orchestra, Praise un affascinante canto orientale su una chitarra ambient alla Gone To Earth. Darkest Dreaming, addirittura, finirà nella colonna sonora di Ma che colpa abbiamo noi di Carlo Verdone, storico fan dell'artista inglese...

 

Everything And Nothing (**** ½, 2000, compilation) è insieme un "best of" e un'eccellente raccolta in 2 CD di alcune delle canzoni disperse tra le mille collaborazioni del nostro. Più remix, outtakes e tutto quanto fa gola agli appassionati, come (per fare solo qualche esempio) la splendida Ride dalle sessions di Secrets Of The Beehive, Pop Song del 1989, Bamboo Houses con Sakamoto e Buoy con Mick Karn. Da segnalare anche i remix che l'esigentissimo Sylvian ha apportato su brani comunque degni di nota (Ghosts dei Japan, Heartbeat, Come Morning e The Golden Way dal progetto "Marco Polo" della Materiali Sonori) e un bell'inedito di epoca Japan, Some Kind Of Fool.

 

Da avere

Alchemy: an Index of Possibilities (*** ½, 1985) raccoglie alcune composizioni strumentali scritte all'indomani di Brilliant Trees ed eseguite con la stessa line-up dell'esordio. Non ci sono capolavori, ma Sylvian non ha paura di inoltrarsi in territori oscuri ed eccelle, con la guida del fido Hassell, nell'umida ambientazione tropicale di Words With The Shaman. Altre cose, come Preparations For A Journey o la lunga Steel Cathedrals, sembrano cartoni preparatori per gli strumentali di Gone To Earth.
Il progetto Rain Tree Crow (*** ½, 1991, con Jansen, Barbieri, Karn) sono i Japan che si riuniscono ma sotto falso nome, per imposizione di Sylvian, e finiscono a fare musica quasi del tutto improvvisata, che ha ben poco a che fare con i Japan e non troppo, a dire il vero, nemmeno col Sylvian dell'epoca. Allora fu una delusione un po' per tutti ma, riascoltato col senno di poi, mantiene un bel piglio sperimentale e tre o quattro brani di classe superiore: Every Colour You Are, Pocket's Full Of Change, Red Earth As Summertime Ends e la conclusiva e dolcissima Cries And Whispers.
The First Day ( ****, 1993) e Damage (****, 1994-2001, live) sono invece il risultato di una tra le collaborazioni più indovinate, quella con Robert Fripp. Dolcezza e fuoco, lacrime di roccia e chitarre che si sciolgono come lava. L'uomo schizoide del 21° secolo, cioè noi... Canzoni abrasive, ballate da sogno (Damage e The First Day nel live) e uno strumentale prodigioso (Bringing Down The Light) a ricordarci che alla fine tutto, davvero tutto, si può rischiarare, e ognuno provi a fare ipotesi... Il primo squarcio dionisiaco nell'apollineo mondo di Sylvian.
Camphor (*** ½, 2002, compilation) si accoppia ad Everything And Nothing nel rappresentare un comprensibile bignami del Sylvian, questa volta strumentale. Meno essenziale e completo dell'altro, presenta tuttavia picchi notevoli nelle versioni alternative di Wave e Upon This Earth, dove risalta una volta di più l'immaginifica arte chitarristica di Mr. Fripp.

Blemish
(****, 2003)
è invece il colpo di coda che non ti aspetti e, insieme, l'annuncio di un percorso musicale totalmente nuovo. Sylvian congeda le majors, fonda una sua etichetta personale (la "samadhisound") e compone in solitudine una serie di brani dedicati in parte alla rottura del suo matrimonio con Ingrid Chavez e più in generale alla difficoltà delle relazioni interpersonali, chiusi, difficili, fuori da ogni maniera ‘alla Sylvian' eppure vivi, pulsanti e affascinanti. All'avanguardia, se il termine ha un senso. Prendiamo lo stordente brano d'apertura, Blemish. Sylvian canta, la voce in primissimo piano nel mix, come se fosse l'ultimo giorno; in sottofondo, una serie di pulsanti onde elettroniche, interrotte da improvvise scariche di suono puro. Così per tredici minuti, quasi a evocare lontanissimi ricordi del Tim Buckley di Starsailor. The Good Son e How Little We Need To Be Happy vanno ancora oltre, sospese al confine dell'atonalità dagli interventi stranianti del chitarrista Derek Bailey. Solo in A Fire In The Forest, in chiusura, riappare la consueta raffinatezza melodica, affidata in egual misura alla voce e ai lunari trattamenti elettronici di Christian Fennesz.
E' proprio questo Sylvian rinnovato ad animare il recentissimo Sleepwalkers (*** ½, 2010, compilation), che riporta all'oggi l'arte compilativa di Everything and Nothing. Se comunque un brano con Sakamoto non può mancare (la bella World Citizen - I Won't Be Disappointed), qui l'accento è però posto sulle collaborazioni con i musicisti giovani, quegli improvvisatori radicali che hanno aiutato o ispirato Sylvian in Manafon, da Fennesz (l'ombrosa Transit) a Jan Bang, a Tweaker e a Readymade. In aggiunta, scampoli dal progetto Snow Borne Sorrow (vedi sotto) e una fascinosa outtake da Blemish (Trauma). Sul versante melodico ci sembrano notevoli la Playground Martyrs sussurrata per il fratellino Jansen ed Exit Delete con Takagi Masakatsu, mentre su quello più sperimentale spicca l'impressionante Five Lines con Dai Fujikura, per voce e quartetto d'archi.

  
Solo per collezionisti

Plight And Premonition e Flux And Mutability (***, 1987-1989) sono due dischi ambient registrati insieme a Holger Czukay, gradevoli (soprattutto il secondo) ma non indispensabili. Lo stesso si può dire di The Good Son Vs. The Only Daughter (***, 2004), disco di remix dei brani di Blemish. Diverso, invece, il discorso per il controverso Manafon (***, 2009), un lavoro di improvvisazione totale, tra elettronica, jazz e musica da camera moderna, che estremizza all'ennesima potenza le sperimentazioni di Blemish. Senza neanche un'oasi di riposo che non sia la voce, sempre meravigliosa, si rivela solo dopo numerosi ascolti ma, comunque, fa rimanere attoniti per il coraggio. E pensare che Sting (Sting!) scrive sinfonie...

 
Da evitare

Approaching Silence (**, 1999) e When Loud Weather Buffeted Naoshima (**, 2007) sono colonne sonore di istallazioni multimediali tenute tra America e Giappone, e ad ascoltarle fuori dal loro contesto d'origine, la noia regna sovrana. Snow Borne Sorrow (** ½, 2005, con Steve Jansen e Burnt Friedmann) sarebbe invece un progetto più ambizioso, una specie di Rain Tree Crow del nuovo millennio. Purtroppo è la musica che manca, la sostanza. Si salvano i brani inclusi in Sleepwalkers (l'inquieta Wonderful World e The Day the Earth Stole Heaven) e, obiettivamente, poco altro.


E per finire...


Un pugno di brani meravigliosi sfuggiti anche alle varie compilations:
Forbidden Colours, ovviamente (nella soundtrack di Furyo, di Ryuichi Sakamoto). Poi la sorprendente Ti ho aspettato - I Have Waited For You, duetto con Andrea Chimenti incluso nel suo album L'albero pazzo. Probabilmente il miglior brano in assoluto dagli anni con Robert Fripp è Earthbound Starblind, dall'EP di Jean the Birdman, mentre è un'autentica goduria l'atmosfera notturna e jazzata di Blue of Noon, strumentale dalle sessions di Secrets of the Beehive. Da notare anche l'ennesima collaborazione con Sakamoto, Zero Landmine (inclusa in un EP del 2001) e il trittico di gran classe Ophelia, To A Reason e Victim Of Stars da Sahara Blue di Hector Zazou. Concludiamo in bellezza con la fiabesca For The Love Of Life, colonna sonora del manga Monster.
La strada è aperta... Buon ascolto!!!

 

 
 Luca Perlini