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JIMI HENDRIX Discografia

Dopo tantissimi anni di gavetta (in compagnia di Isley Brothers e Little Richard gli episodi più noti), il chitarrista di colore James Marshall Hendrix si trasferisce a Londra per iniziare la carriera solista. Viene convinto a questo passo dall'ex bassista degli Animals, Chas Chandler, che diverrà il suo manager e creerà un power trio su misura per l'esuberante solismo di Jimi. La Jimi Hendrix Experience esordisce nel 1966 con Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso ed è l'inizio di un successo incredibile. La discografia di Hendrix è soprattutto postuma, per cui eviterò di inserire la data dopo il titolo dell'album, se non per quelli usciti con il chitarrista ancora in vita.

Il primo album si intitola Are You Experienced? (1967 - *****) e riesce addirittura a scalzare Sgt. Pepper dei Beatles dal primo posto della classifica UK. Nella versione americana di questo disco ci sono anche i primi tre singoli inglesi (Hey Joe, Purple Haze, The Wind Cries Mary, con la prima che è nient'altro che una cover trasfigurata di un'oscura canzone rhythm n'blues di tale Billy Roberts). Con questo album Hendrix dimostra di essere anche un grande autore di canzoni (la già citata Purple Haze, ma anche Fire o Foxy Lady), mentre la sbalorditiva tecnica strumentale viene srotolata nell'impressionante slow blues intitolato Red House oppure nei riff stratificati di Manic Depression. Per gli amanti del sound acido degli anni '60, ci sono poi due autentici "schizzi psichedelici" come Third Stone From The Sun ed Are You Experienced?.

Mentre la fama del chitarrista mancino che suona la stratocaster al contrario si espande in tutto il mondo, esce il suo secondo album. Axis: Bold As Love (1967 - ****) è il disco più psichedelico della carriera di Hendrix (Ascoltare If Six Was Nine o You Got Me Floating per crederci), ma soprattutto ha una scaletta dove abbondano le ballate. Lasciatevi dunque cullare dalla dolcezza di Little Wing, Castles Made Of Sand o Bold As Love. Se invece avete nostalgia dell'hard blues a presa rapida del disco d'esordio, potete sempre ballare sulle note della potente Spanish Castle Magic o sul simil funk di Wait Until Tomorrow.

Una lavorazione durata moltissimi mesi e la partecipazione di numerosi ospiti (Steve Winwood e Dave Mason dei Traffic, Buddy Miles degli Electric Flag e Stephen Stills dei Buffalo Springfield) caratterizzano il doppio album Electric Ladyland (1968 - *****), vera summa dell'arte hendrixiana. Le canzoni, nonostante i molti mesi di ripensamenti, appaiono poco rifinite ed hanno l'aspetto di jam in studio, ma quando Hendrix indovina la formula non ce n'è per nessuno.

Le due Voodoo Chile sono un monumento al blues, il riff inventato per la cover di All Along The Watchtower di Bob Dylan è semplicemente il migliore della storia, senza Crosstown Traffic non sarebbe esistito George Clinton e potrei continuare all'infinito. Nella scaletta viene ripescata la deliziosa Burning Of The Midnight Lamp, uscita molto tempo prima come singolo nella sola Gran Bretagna.

Lo scioglimento degli Experience avviene di fatto durante le registrazioni di Electric Ladyland, con Noel Redding sempre più polemico verso le scelte artistiche di Hendrix. Il chitarrista mette insieme un nuovo trio formato da soli musicisti di colore (il già citato Buddy Miles alla batteria e voce e l'ex commilitone Billy Cox al basso). Si chiamano Band Of Gypsies e l'omonimo album dal vivo (1970 - ****) è l'ultimo uscito con Jimi ancora in vita. La scaletta è formata da solo sei canzoni: due lunghissime (Machine Gun, Who Knows?), due di puro soul blues (Changes, We Gotta Live Together) e due più canoniche e vicine allo stile degli Experience (Power To Love, Message To Love). Venderà pochissimo, ma rimane un grande lavoro. La Band Of Gypsies durerà lo spazio di sei concerti perché Jimi fonderà una nuova versione degli Experience con il richiamo di Mitch Mitchell alla batteria e la conferma al basso di Billy Cox.

Già nel 1971 comincia ad uscire una copiosa messe di materiale inedito poiché Hendrix, al momento della morte (18 settembre 1970) stava ultimando il suo quarto album in studio ed era solito registrare e catalogare qualsiasi cosa. Cry Of Love (***1/2) ha il pregio di contenere per la prima volta tre inediti che poi sono divenuti dei classici hendrixiani: In From The Storm, Freedom e la dolce ballata Angel.

Rainbow Bridge Concert (***) rappresenta la cronistoria di un pazzesco film concerto realizzato da Jimi alle Hawaii. Anche qui c'è tanto materiale inedito (per la prima volta una versione corta dell'eccezionale slow blues Hear My Train A Comin', poi anche Dolly Dagger e Room Full Of Mirrors) ed il tradizionale hawaiano Pali Gap.

Dopo una serie di compilation dal vivo senza infamia e senza lode (Experience, More Experience, Hendrix In The West, di cui la migliore è senza dubbio l'ultima), esce un disco molto concentrato sul blues intitolato War Heroes (***). Bellissima in questo album la cover del classico Bleeding Heart del bluesman texano Elmore James.

A metà anni '70 il produttore Alan Douglas diventa il catalizzatore delle uscite hendrixiane e combina un disastro dietro l'altro, spesso reincidendo in studio o filtrando con l'elettronica alcune tracce rimaste incompiute. State alla larga dunque da autentici atti criminali come Loose Ends (*), Crash Landing (*) o Midnight Lightning (*). Io conosco bene in particolare il secondo ed è pura spazzatura.

Nine To The Universe (**1/2) è l'ennesimo live che mette in fila alcuni duetti di Hendrix nel tumultuoso biennio 1968 - 69.

Finalmente Douglas ne azzecca una pubblicando la versione integrale del leggendario show del Festival di Monterey (1967). Jimi Plays Monterey (1967 - *****) è semplicemente disco fondamentale pur nella sua brevità, che mostra un Hendrix in stato di grazia, determinato a dare il massimo nella sua prima esibizione americana da "rockstar" e non da anonimo turnista. Accanto ai classici del periodo (belle soprattutto Foxy Lady e Can You See Me?), risplendono soprattutto le cover: Rock Me Baby di B.B. King, The Killing Floor di Howlin Wolf, Like A Rolling Stone di Bob Dylan e Wild Thing dei Troggs (comprensiva della sequenza in cui Hendrix brucia la propria chitarra sul palco). La nascita di una leggenda eterna.

Band Of Gypsies II (**) promette dal titolo di essere il completamento della storia dell'avventura del secondo trio hendrixiano. Si tratta invece in realtà di un nuovo pasticcio di Douglas, in cui spesso alla batteria siede il funambolico Mitchell, in luogo del metronomico Miles.

Stages (***1/2) è un cofanetto ormai introvabile in cui vengono racchiusi quattro concerti integrali dei quattro anni di intensa attività hendrixiana (Stoccolma '67 con già una strepitosa versione dell'allora inedita Voodoo Chile (Slight Return), Parigi '68, San Diego '69, Atlanta '70).

Alla fine del proprio incarico Douglas azzecca finalmente una compilation. Blues (****) mostra infatti l'intera gamma della tavolozza dei colori di Jimi applicata al blues. La pubblicità era già eloquente: "se il blues è la musica del diavolo, Jimi Hendrix è stato il diavolo in persona". Che dire? E' vero. In Blues ci sono tante cover e la curiosità di un rarissimo Hendrix acustico che suona Hear My Train A Comin', ma anche una Hear My Train A Comin' invece elettrica registrata il 30 maggio 1970 a Berkeley (primo show), che viene considerata dai fans la migliore esecuzione di sempre di Hendrix. Ascoltando con attenzione l'esecuzione dello standard Catfish Blues, si intravede in sottofondo l'avvento di Voodoo Chile (part I).

Voodoo Soup (***) e South Saturn Delta (***1/2) sono le prime uscite curate dalla Hendrix Family e mettono in mostra la parte più psichedelica e modernista dell'estro di Jimi. Due raccolte comunque prescindibili.

Il tentativo di far uscire il quarto album in studio esattamente come lo avrebbe voluto l'autore, porta alla stampa di First Rays Of The New Rising Sun (***). Il titolo è corretto, ma mi permetto di dubitare che un perfezionista come Hendrix avrebbe acconsentito a fare uscire un disco così scialbo e poco rappresentativo. Ezy Rider e Dolly Dagger sono ben poca cosa ed il meglio è rappresentato dalla già nominata Freedom.

BBC Sessions (****) è un doppio cd che finalmente mette ordine nei copiosi archivi della radio inglese, In passato erano già usciti gli incompleti Radio One e The Peel Sessions riguardanti queste registrazioni. Qui c'è un Hendrix improvvisatore e giocherellone (Radio One, la cover di Day Tripper dei Beatles o quella di Hound Dog di Elvis Presley), ma anche un fine cesellatore di note, in particolare nelle sessions del 1968 (Stone Free, Love Or Confusion?, I Was Made To Love Her, Hey Joe). Ben più di una curiosità per completisti la cover di Can You Please Crawl Out Your Window?, oscuro brano di Bob Dylan.

Il doppio Live At Fillmore East (*****) pone invece una luce definitiva sull'effimera gloria della Band Of Gypsies. Il repertorio degli Experience viene sfiorato solo con Voodo Chile (Slight Return) e con gli eccezionali tredici minuti di Stone Free, poi tantissima black music, con due versioni chilometriche e completamente divergenti tra loro di Machine Gun, We Gotta Live Together, Stepping Stone, Burning Desire, Changes, Hear My Train A Comin', Power Of Soul e Earth Blues. Uno dei miei album da isola deserta.

 

Live At Woodstock (****) è un doppio cd che contiene l'integrale concerto di chiusura del famoso festival dell'agosto del '69. Hendrix vi partecipò insieme ad una versione embrionale della Band Of Gypsies, con Billy Cox al basso, Mitch Mitchell alla batteria, due percussionisti (Jerry Velez e Juma Sultan) e Larry Lee (che era stato insegnante di chitarra di Jimi) alla chitarra ritmica. La prima parte dell'esibizione è zoppicante e viene salvata da una bella Lover Man e dall'improvvisazione chiamata Jam Back At The House. La sequenza finale è però da brividi: prima i quattordici minuti del medley tra Voodo Chile (Slight Return) e In From The Storm, poi l'esecuzione dell'inno americano per sola chitarra elettrica (The Star Spangled Banner) che sfocia in una devastante Purple Haze, infine la lunga jam che si snoda tra Woodstock Improvisation e Villanova Junction. Chiude Hey Joe. Applausi. Si tratta del concerto più lungo della carriera di Jimi.

Continua la celebrazione dei grandi concerti di Hendrix con il doppio Blue Wild Angel: Jimi Hendrix Live At The Isle Of Wight (**1/2). E' l'ultimo concerto di Hendrix e lo mostra non in grande forma, spesso spaesato e fuori controllo (cosa rarissima nella sua carriera). Discrete le versioni di Midnight Lightning, Spanish Castle Magic es All Along The Watchtower; assolutamente inaspettato l'accenno a Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles posto quasi all'inizio della scaletta.

Se si vuole avere un'idea corretta della forza live della seconda incarnazione degli Experience è invece opportuno rivolgersi a Live At Berkeley: 2nd Show (****). Il concerto è entrato nella leggenda perché qui sono contenute esecuzioni splendide di Hey Baby (New Rising Sun), I Don't Live Today, Machine Gun e Voodoo Chile (Slight Return).

Anche la nuova gestione del patrimonio di Jimi cade nella trappola delle compilation poco organiche. Valleys Of Neptune (**1/2) segue questo schema, pur presentando un suono scintillante. Nella scaletta sono comprese canzoni arcinote, anche se con arrangiamenti leggermente variati (Red House). Appare anche la registrazione in studio della cover di The Sunshine Of Your Love dei Cream, che Hendrix era solito presentare in versione strumentale ai propri concerti.

Live At Winterland (****) è un poderoso cofanetto che documenta una serie famosissima di concerti tenuta nel 1968 dagli Experience a San Francisco. Si tratta di una sorta di greatest hits hendrixiano dal vivo. Suonato benissimo peraltro.

People, Hell And Angels (****) segue lo schema di Valleys Of Neptune, ma questa volta ha l'aria di un vero album. L'incredibile numero di informazioni mancanti su queste registrazioni ci dimostra come gli archivi di Hendrix siano probabilmente ancora zeppi di tesori inestimabili (usciranno mai le sessions con John McLaughlin, Jack De Johnette e Dave Holland, oppure quelle con Buddy Guy e B.B. King?).

Mojo Man (con la voce di Albert Collins), Earth Blues (della Band Of Gypsies), Let Me Move You (con il sax di Lonnie Youngblood) e Easy Blues (prova con la band allargata di Woodstock) e Somewhere (in trio con Buddy Miles e Stephen Stills) sono i momenti topici di un bel lavoro di compilazione.

 

Nel 2013 esce l'ennesimo album d'archivio di Hendrix. Miami Pop Festival (***1/2) è interessante soprattutto perché prende in considerazione il periodo classico degli Experience laddove invece, negli ultimi anni, si era preferito andare a scandagliare il biennio '69 - '70. 
 

Il repertorio è arcinoto e le uniche sorprese sono forse rappresentate da Tax Free e da una Hear My Train A Comin' che era allora al suo debutto assoluto (con un testo anche piuttosto diverso da quella già conosciuta). Poi, al solito, occorre segnalare la magnifica prova di Mitch Mitchell alla batteria (ascoltare I Don't Live Today, Hey Joe e Purple Haze) ed invece un Noel Redding non sempre in sintonia con l'incontenibile vena improvvisativa del leader. Rimane ovvio che c'è sempre qualche ottimo motivo per ascoltare un concerto di Jimi Hendrix.

  Freedom (***1/2) è un doppio dal vivo che scandaglia l'ultimo periodo della carriera di Hendrix. Si tratta del resoconto del concerto tenuto dal mancino di Seattle (con la sezione ritmica Mitchell - Cox) all'Atlanta Pop Festival nel luglio del 1970. E' il concerto di Hendrix con maggiore affluenza di pubblico (circa 250.000 spettatori!), in un momento in cui le sue esibizioni erano sempre a rischio ordine pubblico.

Il suo concerto all'edizione del Denver Pop Festival dell'estate 1969 infatti era stato interrotto per gli scontri tra manifestanti di estrema sinistra e polizia. Forse anche per questo motivo, Hendrix suona arrabbiato e nervoso come non mai: pasticcia in Purple Haze, sbaglia l'attacco di All Along The Watchtower ed in genere sprigiona potenza inaudita ed hard rock in Fire, Lover Man, Foxy Lady o Voodoo Chile (Slight Return). Si tratta comunque di sfumature che niente tolgono ad uno dei performer più incredibili della storia della musica popolare. Hendrix lo dimostra ancora una volta nei brani più rilassati e bluesy, come il trittico Red House / Room Full Of Mirrors / Hear My Train A Comin' o come nella bella resa di Hey Joe. Motivi di interesse sono poi rappresentati da una versione stranamente concisa di Stone Free e dalla notevole e rara Straight Ahead, posta proprio in chiusura del set.

  Lorenzo Allori