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PEARL JAM Discografia in studio

I Mother Love Bone sono una delle band di "quasi famosi" che alla fine degli anni '80 stanno popolando la fiorente scena glam metal. Proprio mentre i primi singoli della band (Star Dog Champion, Crown Of Thorns) stanno raggiungendo una notorietà nazionale, il loro cantante Andrew Wood muore per overdose di eroina. Il chitarrista Stone Gossard ed il bassista Jeff Ament si riuniscono sotto il nome di Temple Of The Dog per ricordare l'amico scomparso. Accanto a sé chiamano i due Soundgarden Chris Cornell (voce, chitarra) e Matt Cameron (batteria), lo sconosciuto chitarrista hard blues Mike "Cookie" McCready (dotato di una vera e propria venerazione per lo stile di Jimi Hendrix) ed il tastierista Rick Parashar. Durante le registrazioni dell'album Temple Of The Dog (1990 - *****), il sestetto viene raggiunto in studio da Eddie Vedder, destinato a diventare il cantante della nuova band di Stone, Jeff e Mike. Eddie è un non professionista, con una grande passione per il rock classico, raccomandato da Jack Irons, ex batterista di Red Hot Chili Peppers e Big Audio Dynamite. Il duetto tra la voce baritonale di Vedder e quella classicamente hard rock di Cornell frutta l'ottimo singolo Hunger Strike. L'album passa quasi inosservato, ma continuerà a vendere nel corso degli anni, fino a diventare un disco di culto. Probabilmente si tratta della migliore prova in assoluto del Chris Cornell cantante, tra sprazzi simili al celebrato stile dei Soundgarden (Pushin' Forward Back, Your Saviour), virtuosismi soul (Say Hello To Heaven, Wooden Jesus), assoli di chitarra blues inediti per l'alternative rock americano dell'epoca (gli oltre undici minuti di Reach Down) e due strepitosi mid tempo destinati a restare nell'eternità del rock n'roll (Call Me A Dog e Times Of Trouble, quest'ultima modellata sulla musica che frutterà ai Pearl Jam la b-side Footsteps).

I Pearl Jam nascono come Mookie Blaylock, dal nome di un giocatore di basket NBA. La prima formazione vede Eddie Vedder (voce), Stone Gossard (chitarra), Mike McCready (chitarra), Jeff Ament (basso) e Dave Krusen (batteria).
 
Il disco d'esordio si intitola Ten (1991 - *****), in onore del numero di maglia di Blaylock, del quale il quintetto non ha avuto il permesso di utilizzare il nome. Ten è un album che risente di una pulizia dei suoni notevole, legata allo stile che in quel momento stava portando gli Aerosmith puntualmente in testa alle classifiche di vendita. Si tratta di un tipo di sound in realtà lontano dalle radici punk hardcore di gran parte dei membri del gruppo (Vedder e Ament su tutti).

Resta il fatto che siamo di fronte ad un album leggendario, in cui la voce messianica di Vedder guida l'ascoltatore attraverso un groviglio di emozioni non arginabili (Alive, Black, Porch, Release), lo fa riflettere con un inedito (l'America degli anni '80 era stata anestetizzata dalla "cura Reaganomics") impegno politico (Jeremy, Why Go?) e poi lo stordisce con classici inni hard rock (Once, Even Flow). I Pearl Jam non puntano a diventare i nuovi Led Zeppelin, ma di sicuro un brano come Oceans sarebbe stato bene in un album del dirigibile. Alla batteria Matt Chamberlain sostituisce Dave Krusen, ma se ne va quando la fama del gruppo inizia a crescere.

Coinvolti dal fenomeno grunge, i Pearl Jam sono già una band popolarissima e per questo molte pressioni ed aspettative si riversano sul secondo album. Le ottime State Of Love And Trust e Breath vengono cedute alla colonna sonora del film Singles dell'amico Cameron Crowe, ma mostrano una differenza fondamentale rispetto al mood generale di Ten: i Pearl Jam ringhiano da morire ed hanno un sound ruvido come quasi tutte le band della loro generazione. A questo si aggiunge che il nuovo batterista, Dave Abruzzese, è un appassionatissimo della musica dei Black Sabbath. Versus (1993 - ***1/2) è un giro sulle montagne russe dell'ispirazione di Eddie Vedder, che ormai ha sostituito Stone Gossard come leader del complesso. L'album vende benissimo grazie al super singolo Daughter, altra canzone politica che parla di conflitti intergenerazionali, la quale sale fino al primo posto nelle classifiche di tutto il mondo. Altri momenti super polemici si intitolano Glorified G (contro la vendita libera di armi da fuoco), Dissident, W.M.A. (che parla di discriminazione razziale in modo laterale), Leash, Animal (che certo non le manda a dire al presidente repubblicano George Bush Sr.) ed Indifference. Alla fine però, in tutta questa Babele di proclami barricadieri, piacciono più i Pearl Jam tonanti di Go, quelli iper-romantici di Rearviewmirror e quelli che raccontano storie di vita vissuta, come nella deliziosa ballata Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town.

Dopo appena un anno, con nel mezzo la morte di Kurt Cobain, il gruppo torna sul mercato con il proprio album più ambizioso. Vitalogy (1994 - ****) è un'amara riflessione sulla futilità del successo e sul tempo che passa inesorabile. Mai i Jammers erano stati crudi come nell'uno - due iniziale Last Exit / Spin The Black Circle. L'album vive poi intorno a tre grandissime ballate (Nothing Man, Better Man ed Immortality) e ad un paio di mid tempo destinati ad entrare nella storia della band (Corduroy, Not For You). L'unica canzone di denuncia politica si intitola Whipping e si schiera decisamente dalla parte del diritto all'aborto. In questo album Eddie Vedder sembra costantemente sopra le righe, come se cantasse sotto shock (Satan's Bed, Tremor Christ); la band ostenta poi una notevole noncuranza commerciale (le sperimentali Bugs e Pry To, o la psichedelica Aye Davanita). Anni dopo i fans americani eleggeranno Not For You come la loro canzone preferita del repertorio della band. La musica resterà pura anche grazie a questa strana simbiosi tra il quintetto ed il proprio affezionatissimo pubblico.

Nel momento più difficile della storia della band, costretta a non poter suonare dal vivo per una questione di principio (peraltro molto apprezzata e sostenuta dai fans), Dave Abruzzese viene sostituito proprio da quel Jack Irons che aveva presentato Eddie a Stone e Jeff. I Pearl Jam, senza Eddie Vedder, collaborano con Neil Young ed escono nei negozi con un album che ne azzera il commercio commerciale dopo viceversa i fasti dell'ep Merkin' Ball (1995 - ****), contenente due pezzi strepitosi come I Got Shit e The Long Road.

Ancora oggi No Code (1996 - *****) rimane il loro album meno venduto in assoluto. E certo non ha aiutato l'aver scelto come primo singolo la scialba ballata psycho folk Who You Are. Altrove il gruppo schizza da un genere all'altro (senza codici di lettura appunto). Off He Goes per esempio ha il piglio del country rock narrativo di un John Prine, Smile è una canzone di Neil Young apocrifa, Red Mosquito è puro blues rock, autentica palestra per gli assoli di McCready, Hail! Hail! è una ferocissima canzone d'amore. Le ballate Sometimes e Present Tense sono i momenti più intensi e riusciti di un album che pochi hanno capito fino in fondo, ma che ha il pregio di parlare direttamente al cuore.

La cover di un oscuro brano rockabilly intitolato Last Kiss, viene pubblicata come singolo per sostenere le vittime della guerra in Bosnia Erzegovina. Per sempre resterà il più grande successo della carriera del gruppo. Si mormora che i Pearl Jam stiano meditando di fare un intero album di classici del primo rock n'roll, ma poi esce Yield (1998 - ***1/2) a spazzare via ogni dubbio. Si tratta di un disco che vive intorno alla reiterata alternanza tra fortissimi e pianissimi. Le radici hardcore si esplicano in brani trituranti come Brain Of J, Do The Evolution (per la quale verrà girato il primo video dal 1994), M.F.C. o Pilate. Low Light, All Those Yesterdays e Wishlist sono invece ballate che potrebbero benissimo appartenere ai R.E.M.. Le vie di mezzo, come spesso accade, sono vincenti: è il caso delle anthemiche In Hiding e Given To Fly. I Led Zeppelin faranno causa ai Pearl Jam perché la melodia di Given To Fly è simile a quella della loro Going To California. Perderanno la causa ed insieme la faccia. Jack Irons se ne va e viene sostituito da Matt Cameron dei Soundgarden.

Binaural (2000 - ****), a dispetto del titolo, non è stato registrato del tutto con il sistema di registrazione binaurale. Ascoltandolo con attenzione però si colgono alcune similitudini con quello che è il capolavoro riconosciuto di questo particolare metodo di produzione (Kiko dei Los Lobos, 1992). E' il caso di brani mutanti e "modernisti" come Sleight Of Hand, Nothing As It Seems, Parting Ways o Rival. Altrove i Pearl Jam sfogano la propria ammirazione per gli Who (Breakerfall o anche le "pennate" di chitarra alla Pete Townshend di Grievance) e per Neil Young (Thin Air o la potente e politicizzata Insignificance). I Pearl Jam sono ancora una volta in classifica grazie al nuovo inno Light Years. Grande album dunque, anche grazie alle grandi capacità tecniche di Matt Cameron.

Dal punto di vista artistico le cose cominciano a scricchiolare con Riot Act (2002 - ***1/2), il primo album che davvero ha qualche riempitivo di troppo. Come non considerare così la sterile polemica contro George W. Bush di Bu$hleaguer, l'arrangiamento simil elettronico di You Are, o ½ Full, che non è altro che una diligente riscrittura della furia autentica di Red Mosquito? Altrove però le cose funzionano ancora alla grande. Sicuramente la maturità ha donato ad Eddie una voce sempre più adatta ad affrontare emozionanti canzoni folk (Can't Keep, Thumbing My Way e All Or None fanno parte di tale categoria). Poi i Jammers sanno ancora tirare fuori gli attributi e la rabbia (Save You, Green Disease, Get Right - quest'ultima forse più "ramonesiana" degli stessi Ramones). Lasciano perplesse certe melodie eccessivamente ad effetto, come in Cropduster, nella pessima Love Boat Captain o nelle strofe di I Am Mine (che però ha una sequenza refrain + assolo di chitarra che mette tutti d'accordo). Il gruppo viene sostenuto in studio dalle tastiere di Ernst "Boom" Gaspar, già conosciuto come il loro "fan numero uno".

La carriera dei Pearl Jam è ormai così lunga che il numero di b-side, singoli, ep e rarità sparse a giro consente di realizzare un doppio album di scarti. Lost Dogs (2003 - ***) raggiunge in parte lo scopo, riunendo in una sola raccolta brani storici e molto amati dai fans più incalliti come Yellow Ledbetter, Hard To Immagine, Footsteps, Wash, Dead Man, Dirty Frank e Let Me Sleep It's Christmas Time. Piacciono soprattutto la deliziosa ballata Fatal (esclusa per motivi misteriosi da Binaural) ed il brioso power pop intitolato Down. La domanda è però come mai non sono state pubblicate perle come State Of Love And Trust, Breath, Man Of The Hour, I Got Shit o The Long Road? Ed ancora perché non dare spazio ad alcune cover che ormai fanno parte della storia live della band (tre su tutte: Baba O'Riley degli Who, Rockin' In The Free World di Neil Young e Crazy Mary di Victoria Williams)?

Pearl Jam (2006 - ***1/2) è disco dalla buona qualità generale, ma senza grossi picchi. Il trittico iniziale Life Wasted / World Wide Suicide / Comatose è degno dei migliori PJ, ma altrove le canzoni faticano un po' ad emergere dall'anonimato. Al solito Eddie Vedder è a suo agio quando tratta tematiche surfistiche (Big Wave), mentre la suggestiva Inside Job porta dritto nei territori AOR poi percorsi in Lightning Bolt. La nuova Off He Goes si intitola Come Back ed è, come da titolo, l'esempio lampante che il gruppo ha iniziato a ripetersi.

Mentre Eddie Vedder inizia un'acclamata carriera solista nel cantautorato folk, esce il brioso Backspacer (2009 - ***1/2). E' un album dalla qualità profondamente diseguale. Accanto a troppe canzoni banali (il terribile singolo The Fixer, oppure la sdolcinata new wave di Speed Of Sound) ed a qualche buon guizzo (Unthought Known, Supersonic), ci sono invece almeno tre capolavori. Got Some rimanda dritto alla classicità di Ten, Amongst The Waves possiede un passo epico che mancava dai tempi di Yield negli album della band, infine Just Breathe è una delle due - tre ballate più belle della loro carriera.

I venti anni dal primo posto in classifica di Versus sono festeggiati con l'uscita di Lightning Bolt (2013 - ***). L'album persegue strade nuove nella sua seconda parte, dopo un primo tempo viceversa classicamente Pearl Jam. Il problema è che non ci sono grandi canzoni, ma soltanto qualche buona cosa. Piacciono in particolare il folk rock intitolato Future Days o la strana atmosfera sussurrata di Pendulum.
 

Tra i migliori pezzi ci sono anche le più energiche Getaway e Lightning Bolt, nonché la lunga ballata Sirens. Purtroppo si riscontrano anche un sacco di cadute di stile, tra cui l'irrisolta My Father's Son. I Pearl Jam sembrano adesso davvero delle pacificate rockstar di mezza età. Non lasciatevi ingannare dal riff punk ettaro del primo singolo Mind Your Manners.

  Lorenzo Allori