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The Black Keys - Discografia

I Black Keys si formano nel 2001 nella città industriale di Akron (Ohio). Fin da subito il gruppo si attesa nella formula chitarra / batteria che li farà a lungo definire "i nuovi White Stripes". Comunque i nostri eroi rispondono ai nomi di Dan Auerbach (chitarra, voce) e Patrick Carney (batteria).

The Big Come Up (2002 - ***1/2) rappresenta un piccolo shock culturale. Il duo suona blues ortodosso con la stessa ferocia dell'hard rock. In modo misterioso gli spazi si riempiono anche in assenza del basso e con uno stile batteristico sicuramente non ortodosso o iper tecnico.
 

Patrick Carney è uno studentello nerd che sogna di essere il nuovo Keith Moon e sembra riuscirci sul serio. La cover di She Said, She Said dei Beatles li fa conoscere fuori dal circuito indie regionale.

Con Thickfreakness (2003 - ***) il successo del duo diventa ancora più evidente (particolarmente in Australia). L'album esce per la prestigiosa label Fat Possum, per sottolineare la nerissima anima blues dei Black Keys. Hard Row e Set You Free sono i due singoli che rendono noto al mondo il talento (anche pop) dei due discoli.

L'ambizione della band diviene sfrenata con Rubber Factory (2004 - ***), che però non riesce a farli emergere nella miriade di garage band che infestano gli States del periodo. In questo album i Black Keys strizzano l'occhio al Detroit Sound di fine anni '60, mischiandolo alle ormai classiche fascinazioni blues. Si può di certo dire che sono bravi, ma c'è sempre un però a rovinare in parte il giudizio positivo.

Con Magic Potion (2006 - ***1/2) finalmente i Black Keys gettano la maschera. Hanno firmato per la Nonesuch, una delle più importanti case discografiche indie rock, ed è a quel mercato che intendono rivolgersi. I collegiali americani trovano pane per i loro denti in canzoni ormai entrate nella leggenda come Your Touch o Elevator, ma pure nel delizioso slow blues intitolato Goodbye Babylon.

Un'aria prepotentemente modaiola comincia a scorrere forte e chiara nei dischi dei Black Keys. Attack & Release (2008 - ***1/2) è il primo loro album prodotto da Danger Mouse, il genietto dei ritmi più trendy del momento. La band sembra indecisa sulla direzione da intraprendere, non disdegnando anche momenti di pura follia sperimentale (e la presenza del jazzista "deviato" Marc Ribot è indicativa in questo senso). Il blues ballabile del prossimo futuro ancora non c'è, ma in compenso c'è roba come Strange Times o So He Won't Break.

La nuova fascinazione del duo di Akron per il funk appare evidente nel progetto Blacrock (2009 - **), un poco riuscito connubio tra hard blues ed hip hop. Il gruppo certifica il proprio status di superstar duettando con gente come Nicola Wray, Ol' Dirty Bastard o RZA.

L'esperienza hip hop segna così tanto i due soci, che il sound dei Black Keys vira pesantemente verso il funk, pure in assenza del contributo degli amici rapper. Brothers (2010 - ****) è ad oggi il miglior album del gruppo. La grinta indomita del singolo Howlin' For You o la bellissima The Only One sono due ottime ragioni per avvicinarsi a questo sottovalutato lp, caratterizzato peraltro da una copertina semplicemente geniale.

Tutta la potenziale carica commerciale dei nerd dell'Ohio si scatena fragorosamente con El Camino (2011 - ***). La divertente somma tra chitarre mega rock e ritmi ballabili trova la sua migliore applicazione in riempi - pista del calibro di Lonely Boy e Gold On The Ceiling. Gli amanti del grande rock anni '70 trovano poi pane per i loro denti grazie ai pianissimi / fortissimi di Little Black Submarines. Qualcuno parlerà addirittura di Stairway To Heaven del XXI secolo. Di certo non chi scrive.

Per uscire dal vicolo cieco di una formula musicale un po' logora, i Black Keys ingaggiano un terzo elemento (il tastierista Brian Burton).

Grazie ad una sconosciuta ricchezza sonora, Turn Blue (2014 - **1/2) è l'album più vario della loro carriera. Addirittura i Pink Floyd vengono richiamati nella bella cavalcata iniziale intitolata Weight Of Love. Poi segue tanto rock psichedelico e molto più morbido che in passato. Senza grandi picchi ed anzi con qualche scelta dolciastra da evitare come la peste se ci si chiama Black Keys.

 

  
 Lorenzo Allori