Nico presta la sua voce disturbata in I'll Be Your Mirror, All Tomorrow's Parties e Femme Fatale, poi c'è Lou Reed che malignamente la imita alla perfezione nel singolo Sunday Morning. Tra questi solchi si parla disinvoltamente di droga (I'm Waiting For The Man, Heroin), di sadomasochismo (Venus In Furs) e si accendono i motori del noise rock in anticipo di quindici anni (The Black Angel's Death Song). Andy Warhol produce "silenziosamente" e regala una delle copertine più iconiche della storia del rock. Ovviamente le vendite non ci furono, ma il clamore ancora si sente. Se il primo album è estremo (per l'epoca), White Light / White Heat (1968 - ****) lo supera di slancio. Andy Warhol e Nico se ne sono andati, messi in minoranza dalla leadership crudele di Lou Reed. E' invece John Cale il vero dominatore di questo disco. Sua l'idea della crudele storiella The Gift, sua l'ispirazione per la deflagrante orgia umoristica di Sister Ray. Con queste premesse le altre quattro canzoni sono solo un dettaglio, ma la title track, sconquassante ode all'anfetamina, è una delle pietre angolari sulle quali fu costruito l'edificio del glam rock anni '70. Dopo un furioso litigio con Reed, John Cale è costretto a lasciare il gruppo. Lo sostituisce il basso "canonico" di Doug Yule. The Velvet Underground (1969 - ***1/2) è disco che addirittura mostra strane influenze simil country rock. Il Lou Reed balladeer viene esaltato in canzoni dolcissime che si intitolano Pale Blue Eyes e What Goes On. Poi ci sono anche i momenti glam di Candy Says ed Afterhours, la ferocia noise di Beginning To See The Light e le sventagliate hard blues di Some Kinda Love. Live 1969 (1969 - ****) è un ottimo souvenir della formazione dei Velvet priva di John Cale. Si tratta di un rock n'roll nervoso e privo di grandi svolazzi. Ma caspita che poderoso autore che era già il giovanissimo Lou Reed. La sequenza delle canzoni è impressionante. Resa artistica però inficiata da una produzione tra le peggiori della storia e dalla leadership sempre più evidente di Doug Yule, Loaded (1970 - ***) rappresenta insieme il canto del cigno del complesso ed anche l'inizio ufficiale della stagione glam. La dipendenza dalle anfetamine rende Reed un vero straccio e dunque il suo contributo è praticamente limitato ai soli due colpi da maestro intitolati Rock And Roll e Sweet Jane. Che botti però! Live At Max's Kansas City (1970 - **) è importante come documento storico poiché è la cruda registrazione dell'ultimo concerto dei Velvet con Lou Reed in formazione (un gruppo con lo stesso nome, guidato da Doug Yule, continuerà per qualche anno, ma io non intendo proprio parlarne). Il documento è ottenuto con mezzi di fortuna dal giovanissimo fan Robert Quine, che più tardi diverrà celebrato chitarrista dei Voidoids e della band di Lou Reed dei primi anni '80. Si tratta di un album quasi inascoltabile, con un'amarissima versione di Pale Blue Eyes sugli scudi. Questo è tutto. La collaborazione tra Lou Reed e John Cale per l'ottimo album Songs For Drella del 1990, rilancia l'idea di rimettere insieme la formazione originale dei Velvet Underground. Cale, Reed, Morrison e la Tucker fanno pertanto una lunga tournée insieme, dalla quale viene tratto il bellissimo doppio dal vivo Live MCMXCIII (1993 - ****). John Cale è in grande forma e lo dimostrano versioni al fulmicotone di Hey Mr. Rain, Venus In Furs e Some Kinda Love, in cui la sua viola elettrificata compie autentiche meraviglie. In scaletta anche le più belle versioni di sempre di Sweet Jane e Rock And Roll ed un buon inedito intitolato Coyote. |