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MILANO VIOLENTA

di Mario Caiano (Italia, 1976)
con Claudio Cassinelli, Vittorio Mezzogiorno, Elio Zamuto





Il genere del poliziesco all'italiana mi ha definitivamente contagiato. Non solo per il mio interesse agli anni '70 in tutte le forme, ma perché ho scoperto un modo di fare cinema che purtroppo è scomparso, un modo di raccontare spontaneo e precursore, con registi popolari che hanno firmato in molte occasioni frammenti di un decennio che varrebbe la pena riscoprire sotto molti aspetti. Molte pellicole dai limitati budget riflettono in sé tutta l'inquietudine di un istante molto caldo.

 "Milano Violenta" sa distinguersi per diverse soluzioni che hanno lasciato il segno, innanzitutto il regista Mario Caiano ha dato un nuovo taglio allo schema della vicenda, se pellicole come Mark il poliziotto (di Stelvio Massi) esaltano e accentrano le vicende attorno alla figura del super ispettore di polizia, qui i ruoli si invertono, ovvero anche se non cambia il destino dei cattivi, il punto di vista è spostato e alla fine si fa il tifo per loro. La trama vede Raul Montalbani, detto "il gatto" (Claudio Cassinelli) organizzare insieme ad alcuni compari una rapina che però non finirà secondo le previsioni, solo parte della banda riuscirà a scappare col bottino seminando sangue e il Gatto, abbandonato da tutti, dovrà sfuggire alla polizia per poi andare in cerca di soldi e vendetta da chi lo ha tradito, lo aiuterà una prostituta che finirà per amarlo. 
 In tutto questo il ruolo dell'ispettore (interpretato da Elio Zamuto) diviene del tutto secondario, ciò che interessa in questa storia è che siano i cattivi a uccidersi fra cattivi, come ad esempio avviene in una memorabile scena che vede un ingenuo compare bruciato vivo nella sua auto, nella location ricorrente in questi film, del cimitero delle automobili.
 

Le ambientazioni sono curatissime. Gli uffici della polizia sono più che mai asettici e freddi, le case sono tipicamente settantine e gli interni prevalentemente ripresi in camere da letto ma soprattutto cucine, dove farsi due spaghetti con la polizia alle calcagna sembra una cosa del tutto reale.

Ma le due ambientazioni principali sono un vecchio mattatoio, rifugio dei traditori, lungo e infinito, sovrastante un labirinto di cunicoli dove al Gatto verrà tesa una trappola, e una villa inquietante dove in uno scontro finale stile western, verranno uccisi i traditori, su cui spicca il malvivente interpretato da un grandioso e quantomai infido Vittorio Mezzogiorno, vero comprimario tra i "cattivi" del film.

Nota di merito, infine, per la colonna sonora davvero entusiasmante, una perla di bravura eseguita dal gruppo dei Pulsar, in un irresistibile groove assolutamente ultra funk.

Impatto potentissimo per un film che è divenuto un autentico culto.


Daniele Nuti