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MIRACOLO A S.ANNA

REGIA: Spike Lee
CAST: Derek Luke, Michael Ealy, Laz Alonso, Pierfrancesco Favino, Valentina Cervi
NAZIONE: Usa/Italia
ANNO: 2008
DURATA: 160'

 

Non è facile giudicare un film come quest'ultima opera di Spike Lee, soprattutto dopo le polemiche che ne hanno contrassegnato l'uscita. Tratto da un romanzo di James McBride, il film narra delle vicende, durante la Seconda Guerra Mondiale, di una pattuglia di soldati di colore americani appartenenti al celebre corpo dei Buffalo Soldiers, creato appositamente per poter utilizzare in guerra neri e portoricani evitando nello stesso tempo imbarazzanti convivenze con i soldati bianchi. La storia si colloca sui monti della Garfagnana in concomitanza con l'eccidio di S.Anna di Stazzema, quando più di 500 civili inermi, per lo più vecchi, donne e bambini furono trucidati da un battaglione di SS in base alla famigerata "Legge Kesserling" che ordinava la decimazione della popolazione civile in segno di rappresaglia verso le azioni dei partigiani. Va subito detto a proposito che le polemiche sollevate dalle associazioni dei partigiani mi sembrano francamente fuori luogo. Il film infatti esce largamente assolto da qualsiasi accusa di revisionismo, limitandosi ad avanzare la tesi secondo la quale le SS piombarono sullo sventurato villaggio perché cercavano un capo partigiano in base alla soffiata di un traditore.

 Cosa che non sposta di una virgola la responsabilità del massacro, che resta tutta sulle spalle dei nazisti. Parimenti appaiono ridicole e strumentali le letture di chi, da destra (vedi certi siti "neri") cerca di appropriarsi del contenuto del film per avvalorare la tesi, cara ai neofascisti dell'ultima leva, secondo la quale partigiani e repubblichini erano in fin dei conti la stessa cosa, le due facce di una guerra civile spietata combattuta ai margini della guerra vera, quella in corso tra le due potenze, entrambe occupanti, dei nazisti e degli Alleati.


 
Lee e McBride non dicono niente di tutto ciò, semmai si limitano a dare un volto giustamente più moderno e meno manicheo ai drammi personali di chi si ritrovò, come soldato o come civile, nel mezzo a quegli anni. Così il capo partigiano (uno splendido Pierfrancesco Favino) è sconvolto dal pensiero di aver dovuto uccidere in battaglia un suo vecchio amico fascista, così l'anziano capofamiglia convinto sostenitore del Fascio assiste allibito e incredulo agli atti barbarici dei nazisti. Ma una cosa è la microstoria delle vicende personali, altro è il giudizio storico complessivo. Quello che semmai Spike Lee aggiunge di suo è il duro atto d'accusa verso la società, civile e militare, dei bianchi americani che, al tempo della guerra, restava profondamente e ottusamente razzista. Detto del contesto storico, va però anche subito detto che, sotto il punto di vista strettamente cinematografico, la pellicola di Lee delude, schiacciata da una sceneggiatura frammentaria e spesso incongruente che mescola a casaccio citazioni neorealistiche a fascinazioni spielberghiane (quel bambino è un misto tra il ragazzino di "Ladri di Biciclette" e "E.T."). Senza contare una serie di grossonalità come i montanari garfagnini che parlano in fiorentino, i neri americani che parlano benissimo l'italiano ma non capiscono un tubo di tedesco e la giovane gnocchetta italiana di turno (Valentina Cervi, decisamente belloccia) che (negli anni '40!) non ha problemi a mostrarsi a petto nudo ai soldati americani e poi si tromba (ah, le donne...) il più stronzo e maleducato di questi. Fino al finale, assurdo e falsamente consolatorio. Insomma, ancora una volta una grande produzione americana fallisce il contatto con lo scenario italiano, dando del nostro paese la solita lettura piena di luoghi comuni da turista distratto (e anche un po' ignorante). Basti citare la ridicola vicenda del negrone che si porta dietro, a mò di cornetto portafortuna, una testa (romana? rinascimentale?) presa tra le macerie di Firenze. Riassumendo, questo film da una parte conferma il mio giudizio che Spike Lee sia un regista largamente sopravvalutato, dall'altra va ammesso che non è politicamente scorretto, è solo bruttino. Chi si salva? Il citato Favino (ormai uno dei migliori attori italiani) e il bambino protagonista, malgrado tutto molto bravo e intenso.

Voto: 5,5.

Da far vedere agli skinheads delle curve, possibilmente durante l'ora d'aria.

Marco Monzali