Per la quarta volta ho deciso di vedere dal vivo gli Afterhours, spinto soprattutto dal ritorno in formazione, almeno per questo tour festivo, del chitarrista storico Xabier Iriondo. Oltre a questo la splendida manifestazione casentinese “Love Affair Festival” prevedeva il loro concerto gratuito con la spalla d’eccezione del cantautore Paolo Benvegnù. Ebbene gli Afterhours hanno riportato le lancette indietro di almeno dieci anni. Non ci sono più tastiere sul palco, ma solo una front line iper elettrica con tre chitarre, basso e violino. Iriondo non è per niente cambiato: esegue la sua consueta pantomima robotica e poi si lancia sovente in devastanti assoli dal sapore noise. Il vero solista della band rimane Manuel Agnelli, che ha una sonorità più classicamente rock, ma gli interventi di Iriondo sono sempre stati il sale della tessitura strumentale della band milanese. Speriamo pertanto che il rinnovato connubio rimanga in piedi almeno fino al prossimo album (che dovrebbe essere in uscita a fine 2011 o all’inizio del 2012 al massimo). Il concerto è stato ottimo con circa due ore ed un quarto di grandi canzoni pescate dal loro ormai sterminato repertorio (con addirittura tre bis). Quale altro gruppo italiano può oggi permettersi una scaletta così lunga ed avvincente rinunciando peraltro a suonare alcuni suoi hit del calibro di Dentro Marilyn, Sui giovani d’oggi ci scatarro su, Ossigeno, Tutto fa un po’ male, Non è per sempre o Riprendere Berlino? La risposta è fin troppo facile, ma non vuole essere sterilmente celebrativa. Gli Afterhours sono uno dei pochi gruppi italiani capaci di fare, ormai da tanti anni, un rock n’roll non intellettualoide, ma riuscendo parimenti ad evitare facili sputtanamenti. La loro musica è piena di sangue e sudore, proprio come dovrebbe essere. Ed infatti il pubblico non li ha mai abbandonati, anche di fronte a dischi oggettivamente non eccezionali come Non è per sempre o come l’ultimo I Milanesi ammazzano il sabato. Il concerto si è snodato con una prima parte dove sono stati eseguiti molti dei brani più furiosi (con una Germi sugli scudi), uniti ai classicismi alternativi di La vedova bianca e Ballata per la mia piccola iena. In questa fase si è segnalata la prova eccezionale della sezione ritmica con lo scarno, ma precisissimo rullare di Giorgio Prette (uno che quando l’ascolto penso sempre a Max Weinberg – penso che apprezzerà il complimento). La sperimentale ed elettronica Milano circonvallazione esterna (che apriva tra le polemiche il loro disco Non è per sempre) ha dato l’inizio alla seconda parte del concerto, in cui l’emozione ha preso quota con alcune delle canzoni più coinvolgenti del loro repertorio: Bungee Jumping, Ci sono molti modi, Il sangue di Giuda, Pelle e Bye Bye Bombay sono brani che ogni appassionato di rock italiano (e non solo) dovrebbe avere scolpiti nel proprio dna. Ovviamente nei bis c’è stato spazio per alcune canzoni note anche al grande pubblico: Male di miele, Non si esce vivi dagli anni ’80, Quello che non c’è e Voglio una pelle splendida. E’ piaciuto molto il siparietto acustico all’inizio del secondo bis che ha proposto versioni scarnificate di Bianca ed Il paese è reale. La mattina dopo non ho potuto fare a meno di farmi una scorpacciata dei miei album degli Afterhours e questo è indiscutibilmente un’ottima testimonianza della riuscita di un concerto. Alla prossima volta, Afterhours. |