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ROBIN GUTHRIE & HAROLD BUDD Bordeaux

 

Provenienza: Inghilterra

Anno: 2011

Genere: Ambient

Voto: ****

Brani migliori: The Bells of Saint Andrews, Gaze, The Names of Those Never Here, Deva C


 

Immaginiamo una spiaggia bianca e lontana, offuscata, dissolta nello specchio opaco della memoria. Ce l’abbiamo lì, in testa, e crediamo di poterne da un momento all’altro intravederne dettagli, volti, suoni e rumori distanti, figure in movimento… Ma tutto rimane, invece, così sfumato che quello che vediamo è, in realtà, solo quello che vorremmo riuscire a vedere, e chissà se si è davvero mai verificato o è solo una figura del nostro desiderio, mentre la visione svanisce in profondità insondabili di tempo, o di spazio, e non sapremo mai se è una scheggia di passato ritornato all’improvviso o un’ipotesi di futuro possibile, o un presente alternativo a quello che, per una combinazione di opzioni irreversibili, abbiamo scelto e scegliamo in ogni momento di abitare.

La vera musica ambient è la perfetta colonna sonora di visioni come queste. Esperienze per cui capita di vedere con occhi nuovi anche le pieghe più consunte della quotidianità che ci troviamo a vivere… Tutto fuorché una musica ‘escapista’, e in questo ben diversa dalla new age più deteriore, la ambient intensifica la portata emozionale della più piccola e umile esperienza che possiamo vivere qui e ora, collegandola per vie insondabili al pozzo senza fondo dell’inconscio e all’infinita potenzialità del desiderio. Uno sguardo, un sorriso, un nome e il suo richiamo improvviso di un volto… Siamo qui allo stesso tempo tutto questo ci proietta altrove, un altrove indefinito, pieno di promesse e di inquietudine. Un altrove che le note lunghe, risonanti della ambient evocano quadrimensionalmente, avvolgendoci con echi e silenzi, trasportandoci con un tappeto luminoso di suoni nelle dimensioni infinite ed amplissime dello spazio e del tempo che poi, però, tornano lì. A quello sguardo, a quel sorriso. A quel volto. E a noi. Qui e ora.

Robin Guthrie e Harold Budd, in Bordeaux, ci parlano un po’ di tutto questo con i loro suoni, con le loro romanze senza parole iridescenti e alonate, con atmosfere di misteriosa serenità che nella prima parte del disco sfiorano l’assoluta intensità del capolavoro, raggiungendola nell’apice di dolcezza ultraterrena di The Bells of Saint Andrews. Dopo i brani si allungano e viene meno un po’ di concentrazione melodica, ma il fascino di ogni composizione qui raccolta rimane profondo. Da consigliare a chiunque abbia amato l’immenso Mysterious Skin, ma anche ai giovani seguaci di etichette come la Type e la Erased Tapes e musicisti come Richard Skelton, Dustin O’Halloran e Jon Hopkins.


 Luca Perlini