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IAN SHAW - The Abbey Road Sessions

Genere: Jazz

Provenienza: Gran Bretagna

Anno/Etichetta: 2011/Linn Records

 

Get Out Of Town / Human Nature / Skylark / Obsession / Stuck In The Middle With You / Since I Fell For You / The Lady's In Love With You / I'm Through With Love, Day Dream / Be Cool / I Get Along Without You Very Well / Darn That Dream / Today I Sing The Blues / Stairway To The Stars
Ian Shaw (Voce), Peter Ind (Contrabbasso), David Preston (Chitarra), Miguel Gorodi (Tromba), Zhenia Strigalev (Sassofono alto), Gene Calderazzo (Batteria), Phil Ware (Pianoforte)
 

Aver avuto Ian Shaw come ospite in studio, qui da noi a Radiogas, è stato un grande onore oltre ad una piacevole scoperta. 45 anni, inglese, è cantante dotato di una voce calda e intensa. Viene, giustamente accostato, dalla stampa specializzata, ai massimi interpreti jazz maschili del momento, gente del calibro di Mark Murphy e Kurt Elling, seppure ne abbia percepito, nelle sfumature, alcuni richiami ad Al Jarreau. Vince nel 2004 e nel 2007 il prestigioso BBC Jazz Award come miglior cantante maschile.

Arriva l’estate del 2010, Ian e David Preston, suo abituale chitarrista e arrangiatore, hanno l’opportunità di registrare (per un solo giorno) nei mitici studi di Abbey Road, ancora carichi della magica energia rimasta intatta dai tempi dei Beatles.

 

Viene riunita per l’occasione una band multigenerazionale, come la definisce Ian stesso in buon italiano, che spazia dall’ottantenne Peter Ind al contrabbasso al giovane sassofonista russo Zhenia Strigalev, definito di una bravura pari a quella stellare che fu di Charlie Parker

Arrangiamenti perfetti per confortare e sottolineare una voce dalle mille sfumature. Si può rimanere colpiti dalla cristallina bellezza di celebri ballad come Skylark e dalla breve, toccante Stairway To The Stars, un brano che arriva quando meno te lo aspetti, proprio in chiusura di album, lasciandoti estasiato, perplesso, in qualche modo rapito da quel veloce passaggio di emozioni.

Un disco godibile, che scorre sicuro lungo un percorso fatto di rispetto del canto jazz cosiddetto “mainstream” e di atmosfere cariche di sottile emozione, oltremodo gradevoli e mai scadenti nel banale.

 Marco Milanesi