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ITALSTANDARDS JAZZ TRIO - Forse

Genere: jazz

Provenienza: Italia

Anno: 1983

Etichetta: jazzmud

Voto: ****

When We Were In Italy, Tuca Tuca, Non dimenticar le mie parole, Una lunga storia d'amore, Spaghetti a Detroit, Forse, Roma non far la stupida, Le donne belle, Tu sin ‘na cosa grande, Sono Stanco

Alessandro Galati (Pianoforte), Ares Tavolazzi (Contrabbasso), Piero Borri (Batteria

 

L'idea attraversa la mente del pianista Alessandro Galati più o meno agli inizi degli anni '80. Ancora non si parla di utilizzare le canzoni più belle (o comunque quelle più interessanti) del vasto repertorio della musica cosiddetta leggera italiana come standard, né più né meno come facevano i jazzisti americani che attingevano normalmente al repertorio della loro musica popolare, arrivando a utilizzare  indimenticabili e conosciute melodie come base per le loro improvvisazioni e sperimentazioni. E dire che la canzone popolare italiana rappresenta un punto davvero alto di bellezza melodica e raffinatezza armonica. Il materiale su cui lavorare, elaborare, improvvisare non sarebbe di certo mancato. Da un punto di vista storico, questo lavoro può rappresentare il primo esempio di utilizzo di musica leggera in chiave jazz. Questa tendenza diverrà in seguito più marcata e ampiamente utilizzata da numerosi altri jazzisti italiani.

L'ascolto scivola piacevole tra la bella Roma non far la stupida di Armando Trovajoli, forse il brano più bello del disco e la sottile ironia del blues di Sono stanco (ascoltate la stellare versione di Mina), mentre abbraccia al contempo un arco temporale piuttosto ampio che va da autori come Giovanni D'Anzi (la sua Non dimenticar le mie parole è del 1937 e fu un successo del trio Lescano) fino a Gino Paoli.

L'approccio di Alessandro Galati non è mai banale e il suo fraseggio già ampiamente maturo, quasi complesso nell'elaborare le linee che si dipartono dalle ben riconoscibili melodie dei brani. Ares Tavolazzi detta sì il tempo, ma dialoga col pianoforte, ne sottolinea le frasi e ci regala vigorosi e ampi assolo. Perfetto il drumming di Piero Borri, equamente diviso tra tenere il tempo e dare colore e incisività al discorso degli altri due solisti.

 Marco Milanesi